cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

12 febbraio 2017

La interpretazione della tradizione


Esperienza
Un luogo come Pompei – sito archeologico dove è tuttora possibile fare l'esperienza fisica, percettiva e conoscitiva di una città del passato conservata nella sua consistenza materiale e in grado di esprimere i modi con cui era vissuta – può essere preso ad esempio del processo di interpretazione della storia, intesa non solo come testimone di ciò che è stato, quanto piuttosto come materiale per comprendere il presente e progettare il futuro.
Pompei è, per noi che veniamo da quella terra, un luogo della memoria, è la chiave con cui leggere la nostra storia personale, patrimonio dell'umanità e testimonianza di una cultura insediativa senza confini; il suo impianto è un modello che si è rinnovato attraverso un processo di appropriazione, interpretazione e modificazione, fino a caratterizzare mondi lontani, nel tempo e nello spazio, come quello messicano che oggi ci ospita.
Pompei è una città di origine italica, città mediterranea nel vero senso del termine, città introversa e timida, anche se visibile e ben collegata via terra e via mare, da scoprire una volta introdotti nei suoi principali luoghi pubblici, ovvero fin nel cuore dei suoi spazi domestici. Città che assomiglia, nel suo impianto, alle case che contiene: luogo chiuso dalle mura ed introverso, in cui entrare, attraverso accessi stretti e poco invitanti, in un ricco spazio circoscritto a cielo aperto – il foro – luogo di accoglienza e di filtro, dal quale accedere alle parti più intime solo se invitati e accettati come parte della comunità, con la dignità di cittadino, o di ospite, a godere dei suoi ritmi e delle sue abitudini, nelle case, negli edifici delle corporazioni, nelle terme e nei teatri.
Una città come una casa, disegnata intorno ai suoi affari, alle sue esigenze di distinguere il pubblico e il privato, concetti o istanti di vita quotidiana che però non possono essere assimilati a quelli della nostra contemporaneità. Pubblica era gran parte dell'organizzazione della domus, privati erano molti luoghi della città come le terme, per cui la città-casa e la casa-città di cui parliamo sono luoghi non funzionali ma significativi, non solo concreti ma anche simbolici.
Per questo la casa pompeiana, attraverso le evoluzioni che l'hanno caratterizzata (Cfr. E. De Albentiis, La casa dei Romani, Milano 1990), ha sempre rappresentato un complesso meccanismo di relazioni e rappresentazioni, di uso e di esibizione, dove pubblico e privato sono termini non coincidenti con precise parti della casa quanto piuttosto con la possibilità di proporla e presentarla agli altri, ovvero di viverla intimamente all'interno escludendo del tutto lo spazio circostante.
L'introversione della casa pompeiana è una condizione fisica che però si dischiude e si modifica nel sapiente gioco di percezioni e di percorrenze che essa propone al visitatore. Una casa che “mette in scena” lo stile di vita di chi la abita, che costruisce prospettive che lasciano intravedere tutti i principali spazi che la compongono ma che, invece, va percorsa lentamente, lasciandosi guidare dalla luce e dall'ombra, dalle strutture, dall'acqua con i suoi riflessi e rumori, dalla vegetazione che rilascia profumo e colore che muta con le stagioni. Una casa comunque dotata di anfratti intimi e privati, di ambiti accoglienti dove raccogliersi, decorata e ricca eppure capace di raccontare miti fantasiosi come le storie di tutti i giorni. Una casa arredata ma non in modo stabile, flessibile e disponibile ad assecondare diverse funzioni, a gestire ospiti e clienti, a enfatizzare i momenti principali della vita familiare.
La casa pompeiana è considerata espressione del tipo della casa a patio, tipo che non va letto nel suo assetto morfologico, nella disposizione degli ambienti o nell'organizzazione degli spazi aperti e chiusi, negli assi di simmetria e nei percorsi, nelle proporzioni e dimensioni che la caratterizzano, quanto piuttosto nel suo essere forma di una precisa idea di domestico, espressione tangibile dei propri significati. Rappresentazione quindi del rapporto tra individuo e natura, tra la natura stessa e la sua interpretazione filtrata dalla conoscenza e dalla cultura dell'uomo, tra l'istinto di protezione e quello di comunicazione di ciò che si è e che si pensa. La casa a patio non è una tipologia abitativa formalmente traducibile in un assetto spaziale costante è piuttosto la rappresentazione in forma costruita di principi insediativi, di comportamenti e di conoscenze, è cioè lo strumento fisico, la trappola in cui attrarre per poter comunicare sé stessi.
In tal senso casa e città coincidono perché i sensi su cui si fondono non hanno scala o misura ma coincidono con la storia, la cultura e le aspettative di chi le vive.
Il modello che la casa pompeiana rappresenta non è fisso o permanente, muta con il variare della società, si adegua ad essa e si predispone ad assecondarne le aspettative, attraverso alterazioni dell'impostazione iniziale che non inficiano il senso del modello ma solo la sua organizzazione fisica.

Trasmigrazioni
A partire dalle considerazioni fatte è evidente che il modello abitativo della casa a patio è stato letto nel tempo in molti modi e, quindi, ha comunicato valori diversi, rispondendo a tono a ciò che archeologi, architetti, artisti o semplici curiosi, volevano ritrovare nelle tracce rinvenute. Ogni epoca infatti, più che il dato oggettivo, ha romanticamente ricercato ciò che voleva trovare nelle testimonianze di quelle vite appartenenti ad un tempo passato, ora rappresentandone solo i ruderi, ora l'ideale purezza di spazi privi di vita, ora la presunta confusione di ambienti abitati calati nelle esigenze quotidiane. Ogni tempo ha cioè dedotto dal modello ciò di cui più aveva bisogno, ha interpretato e riprodotto, non per “come era” ma per “come sarebbe potuto essere” nel tempo e nella società che lo ha riscoperto. Tradizione infatti, ha nella sua etimologia il significato di consegna da una generazione ad un'altra, di trasmissione dei valori e delle memorie da un tempo ad un'altro, azione che in sé contiene quella di selezione e scelta di ciò che si intende tramandare e pertanto di rimozione di alcune memorie e di valorizzazione di altre che si crede debbano essere conservate. Non ha caso il termine tradimento ha la stessa radice etimologica di tradizione, perché è evidente che ogni trasmissione di alcuni contenuti selezionati implica un tradimento del dato oggettivo, in quanto frutto di una scelta che è, a tutti gli effetti un progetto, un progetto di vita, di valori, di prospettive rinnovate.
Il modello tramandato, il tipo studiato e riprodotto è il dato tangibile della tradizione, ma è anche la conferma del tradimento del passato che viene trasfigurato nel progetto del futuro. Progetto spesso cosciente, nel senso che l'uso della tradizione è consapevole, altre volte spontaneo, in quanto la permanenza dei valori è dettata dal radicamento di consuetudini e di un repertorio di soluzioni idoneo a rispondere ai bisogni sempre nuovi.
L'impianto tipologico della casa a patio pertanto è interpretato, tramandato e riprodotto non solo in quanto risposta certa a necessità organizzative di un modello urbano i cui lotti, determinati dalla maglia delle strade, comportano soluzioni di abitazioni a schiera aventi un affaccio molto contenuto, a fronte di una profondità spesso significativa, e costrette tra due muri ciechi di confine, ma anche per la sua adattabilità a condizioni di uso in evoluzione, perché fondato su ragioni inderogabili di luce, aria, spazio.

Il patio ritrovato
La casa a patio, è quindi un modello abitativo che, ben oltre la domus romana, si diffonde non solo all'interno del bacino del Mediterraneo, ma che viene esportato, anche nelle epoche successive, nei continenti e nelle terre conquistate e colonizzate oltre oceano, in quanto corrisponde contemporaneamente a principi insediativi domestici coerenti con l'impianto e l'idea stessa di città, a esigenze di clima e di rapporto con la natura, a sistemi di relazioni collettivi e privati, a differenti condizioni economiche e sociali, a stili di vita di epoche diverse, usi e costumi anche lontani tra loro.
Declinata in diversi modi, la casa introversa con patio centrale è un modello atopico e senza tempo, non in quanto schema tipologicamente definito ma in quanto “idea di spazio domestico” permanente e duratura, in grado di soddisfare sia le modalità d'uso di un ceto alto bisognoso di una casa con ampi spazi di rappresentanza, sia di un livello medio incarnando a tutti gli effetti l'ideale borghese di una casa comoda, utile, flessibile ma nel contempo elegante ed espressiva, garantendo infine anche a famiglie meno abbienti, magari in forma collettiva e condivisa, spazi adeguati, funzionali e rispondenti a corretti criteri di abitabilità.
Las leyes de las Indias con le quali i conquistatori spagnoli colonizzano le Americhe definiscono un sistema di insediamento urbano – impianto quadricolare con lotti regolari quadrati – che comporta un sottosistema residenziale di parcellizzazione dell'isolato che giunge, naturalmente, al modello abitativo a schiera con unico affaccio su strada e sistema di corti e giardini interni per l'areazione e l'illuminazione naturale. Nel tempo quindi, nelle Americhe, si consolida un modello residenziale assimilabile alla casa a patio, definito in alcuni Paesi “standard”, proprio in quanto basato su un unico principio ispiratore ma declinato per variazioni successive codificate per rispondere alle diverse esigenze dimensionali, di posizione e esposizione, di altezza e di rapporto con la viabilità. La cosiddetta Casa Standard, diffusa nel sud come nel centro America, è l'adeguamento a rinnovate aspettative e di vita, a proporzioni e dimensioni mutate, del modello originale della domus.
Il suo essere “standard” inoltre permette che l'organizzazione spaziale, che implica i contenuti stessi dell'abitare domestico, sia permanente e ripetuta nei valori essenziali senza grandi variazioni, mentre la dimensione e, soprattutto il linguaggio della facciata, come a volte la decorazione degli interni, segua senza eccessivi filtri critici la mode, gli stili, il gusto dell'epoca o del singolo committente. Si tratta di una estrema varietà, che presume una libertà espressiva, di forme e espressioni estetiche a fronte di una permanenza e stabilità dei principi abitativi rappresentativi di tradizioni basate sulle relazioni sociali, sulle convenzioni familiari ma anche su pratiche edilizie compatibili con le risorse del luogo.
Anche nel caso delle grandi città del sud America, fino alle trasformazioni urbane più recenti che hanno importato modelli abitativi pluri-familiari sviluppati in altezza, la casa a patio esprime sensi e valori propri dell'intera città, che a sua volta si consolida e si mostra grazie proprio ai criteri espressi dalle residenze private. La città e la casa, la casa nella città, sono forma costruita dello stesso principio sociale e relazionale capace di esprimere il carattere di questi luoghi carichi di tradizioni pur nella loro storia breve se paragonata al “vecchio continente”.

Il patio tradito (cioè tradotto)
All'interno della tradizione domestica consolidata rappresentata dal modello della casa a patio, il Moderno, da un lato ha cercato una chiara rottura di tale impostazione tipologica proponendo logiche aggregative e soluzioni compositive del tutto differenti, dall'altro lato ha lavorato, a volte inconsciamente, su una modificazione del modello, su un suo rinnovamento, senza tuttavia stravolgerne i sensi più intimi ma solo le espressioni formali. Gli esempi potrebbero essere molteplici, realizzazioni dove il progetto si pone come chiara rilettura dei valori spaziali e domestici desunti dalla conoscenza del tipo originario, cioè come un adeguamento e un'attualizzazione della casa a patio che tuttavia mostra chiari segni di continuità; si sono scelti pertanto tre esempi emblematici dove non è così immediatamente riconoscibile il modello, anzi si potrebbe affermare che è stato in parte negato ma che invece è fermamente mantenuto, non direttamente, ma nei suoi principi fondativi, nei suoi sensi più profondi.

Casa Barragan, 1948, L. Barragan, Ciudad de Mexico, Mexico
Per quando molto articolata e complessa, la pianta del piano terra della casa di Luis Barragan evidenzia, nel suo sistema dei percorsi di accesso e distribuzione, un chiaro riferimento alla domus romana. Il lungo ingresso (porteria) è a tutti gli effetti assimilabile a delle fauces dilatate, così come il vano di distribuzione del piano terra (hall), da cui parte la scala che conduce ai piani superiori, per quanto priva di un impluvium o di una apertura zenitale verso il cielo, assume chiaramente il senso di un atrium. Il percorso è lineare fino a tale ambiente, da qui poi si deforma e si biforca in direzioni laterali. Con le porte della camera da pranzo e della cucina chiuse il percorso di accesso perde la profondità prospettica tipica della casa romana e pompeiana, ma con la porta del pranzo (comedor) aperta esso mostra una totale similitudine con l'impianto classico traguardando, attraverso lo spazio del consumo dei cibi, fino al giardino sul fondo, grazie ad una ampia finestra che, come nella tradizione, si sposta in asse per lasciare che lo sguardo penetri nel giardino, oltre lo spazio funzionale della casa.
Insomma, per quanto la casa che Barragan progetta per se stesso non sia una casa a patio, il suo schema percettivo e distributivo relativamente all'accesso dall'esterno al piano terra, è quanto di più simile al modello della casa a patio classica, comprese le deformazioni dell'impianto morfologico imposte dai coni ottici, come accade, ad esempio, nella Casa del poeta Tragico a Pompei.
La hall comunque presenta ulteriori affinità con lo spazio del atrium, pur non essendo presente una apertura nel solaio di copertura, cosa impossibile perché l'abitazione è su più livelli, tuttavia la scala è invasa da una luce proveniente da una finestra posta in alto, sulla parete orientale, in una posizione quasi invisibile, che comunque, per quanto non zenitale, caratterizza e dosa la luce naturale dello spazio. Finestra che, come si evince dalla sezione complessa e articolata, non è casuale, tanto che costringe l'architetto a artifici altimetrici per posizionarla in modo da prendere luce direttamente dall'esterno, da una terrazza di servizio, non calpestabile.
In tale organizzazione la casa dichiara, sin dall'ingresso, la sua appartenenza precisa ad un modello, non formale o distributivo, ma significativo e portatore di sensi propri dell'idea di domestico proposta dal maestro e ritrovati nella conoscenza della storia. Sensi che poi si ritrovano per frammenti anche in altri luoghi della casa, come nel rapporto tra lo spazio del soggiorno e il giardino e nel rapporto tra il vestidor, le camere ad esso adiacenti, e la terrazza privata in copertura.

Casa Vilamajó 1928/1932, J. Vilamajó, Montevideo, Uruguay
La casa di Julio Vilamajó è solitamente letta come un episodio autobiografico le cui variazioni, rispetto ai suoi progetti destinati ad una committenza privata e pubblica, risultano essere concessioni al proprio stile di vita. La casa, dal punto di vista formale, presenta, nelle sue linee principali, richiami linguistici tipici del Modernismo, e rappresenta un'originale sintesi di una grammatica tradizionale con contaminazioni stilistiche desunte dagli stili del passato, dal mondo romantico e vernacolare, dal gusto Decò europeo, dalle suggestioni del Razionalismo e del Funzionalismo. La casa non rinuncia né ad un aspetto “consueto e tradizionale” in cui sono riscontrabili frammenti del lessico classico - il cornicione sporgente, la presenza di elementi chiaramente decorativi e l'attenzione per i dettagli costruttivi - né d'altro canto fa a meno di ammiccare ad alcune soluzioni formali - l'arretramento dell'ultimo piano e la soluzione di volumi liberi sul tetto, la disposizione delle finestre e l'assenza di basamento - che invece lasciano intravedere la consapevolezza di un nuovo mondo dell'architettura. Traspare una precisa “volontà di forma” da parte dell'architetto che non scaturisce semplicemente da una banale corrispondenza tra struttura e immagine della stessa, né si rifà a canoni collaudati del lessico in vigore all'epoca. La sua architettura, infatti, sembra giocare sullo stupore e sull'invenzione ma in modo sommesso, partendo da un mondo delle forme in cui era ancora possibile riconoscersi ed invitando a scoprire lentamente suggestioni e ipotesi per il futuro proposte dalle avanguardie e dal Movimento Moderno in generale.
Il modello della casa “standard” sembra essere il riferimento distributivo ed organizzativo della casa, ma rispetto alle residenze progettate negli anni precedenti, di cui alcune chiara rilettura in stile del modello a patio, la sua casa mostra alcune particolarità, distaccandosi dalla distribuzione tipologica tradizionale e proponendo un impianto molto semplice, basato su un unico collegamento verticale - la scala - che serve in successione i quattro livelli della casa. L'ingresso appare del tutto assente e l’accesso alla casa avviene direttamente attraverso il garage. Innovativo risulta anche il percorso che invita agli spazi interni che esclude la fruizione diretta del giardino e che prevede una distribuzione non canonica degli ambienti privati quali la camera da letto rispetto alla zona giorno e lo studio, al quale si accede solo interferendo con la zona notte. Solo fruendo gli spazi domestici secondo la sequenza predisposta dall'architetto è invece comprensibile quanto il giardino non sia un semplice esterno, quanto il panorama non sia una veduta da godere attraverso le finestre. Il sistema degli esterni, percorribile e vivibile, non solo propone un percorso di collegamento tra gli ambienti alternativo a quello gestito dalla scala interna, ma rappresenta l'idoneo sfondo prospettico di ogni ambiente della casa. Il giardino diviso in vari ambiti che si lega al soggiorno, il terrazzo collegato con la scala agli spazi esterni inferiori della camera da pranzo, infine il panorama sulla città che diventa protagonista discretamente nella zona notte e in maniera eclatante nello spazio dello studio.
Insomma ogni ljuogo vive del suo esterno, secondo modalità proprie della casa a patio sebbene attraverso strutturazioni del tutto originali. Non è una casa dove è chiaramente descrivibile ciò che è interno e ciò che appartiene all'esterno, proprio a partire da quell'ingresso invisibile, dall'assenza della porta di accesso che è relagata dentro al garage che più che un locale tecnico di propone come una continuazione della città nello spazio privato.
Tutta la morfologia della casa è a dir poco inconsueta: nel lotto a disposizione l'architetto allontana la parte abitata dal perimetro confinante con le due strade, e la "protegge" dalla via più trafficata con il giardino, il quale, per essere vissuto con maggiore privacy, viene sollevato dalla quota strada assumendo la sua particolare conformazione chiusa ed introversa. La casa si concentra verso l'angolo a ridosso degli altri fabbricati e, costretta ad avere due lati ciechi, si predispone ad utilizzare al meglio l'angolo libero rivolto verso la città. Al visitatore che giunge dal boulevar Sarmiento l'alto muro del giardino, che ricalca il profilo del lotto, impedisce la visione dell'interno, incombe sulla persona fino a condurlo verso il prospetto su Domingo Cullen dove, l'arretramento del fronte, invita invece ad avvicinarsi alla casa. È qui che si scopre che non esiste un vero ingresso e che il garage è pensato come uno spazio di mediazione tra l'interno e l'esterno. Ne è conferma il raffinato trattamento superficiale delle pareti, del pavimento e del gradino nero che sottolinea l'ubicazione della porta di accesso vera e propria il cui disegno è, a tutti gli effetti, quello di un “portoncino da esterni”. Vilamajó considerando insufficiente il poco spazio prospiciente l'edificio e non volendo sfruttare il giardino come patio, preferisce ingrandire il semplice varco di ingresso fino a farlo diventare un vero e proprio “spazio dell'accoglienza” - destinato certamente anche all'auto - ma che nel quotidiano, una volta lasciati aperti i grandi portoni di ferro, diviene un luogo in bilico tra pubblico e privato, tra interno ed esterno: ambito della casa che risulta tuttavia ancora parte dello spazio urbano.
Da tale atrio si accede alla scala che conduce ai piani superiori. Questa, sebbene sia dimensionalmente sempre uguale, cambia aspetto e carattere di rampante in rampante, ora per il colore della tinteggiatura delle pareti, ora - soprattutto - per il tipo di relazione percettiva che instaura con gli spazi che serve. Essa sale dal piano terra, stretta dall'avvolgente parete curva che la delimita, e giunge al livello del soggiorno sul quale si apre completamente, lasciando libera solo la struttura portante circolare. Visivamente lo spazio si dilata all'improvviso anche grazie alla lunga finestra a nastro che passa dietro il pilastro con gli angoli arrotondati e che delimita un tratto di arredo fisso posto ad inquadrare la prospettiva di chi sale il rampante. Proseguendo verso il livello successivo i parapetti aperti sugli spazi principali della casa (contrapposti alla parete chiusa verso gli ambienti di servizio) catturano, come in una dissolvenza cinematografica, lo sguardo del visitatore che abbandona il soggiorno per lo spazio del pranzo. Qui la parete con l'attrezzatura fissa - fondo della prospettiva della rampa a salire - sormontata da uno specchio e da una lampada posta di lato, evidenzia la volontà di realizzare un effetto diverso piano per piano coerentemente con la funzione. Lo spazio del soggiorno è, infatti, caratterizzato da una doppia assialità (l'asse della finestra del giardino rimarcato dalla presenza del pilastro circolare della scala e l'asse ortogonale della finestra su strada segnato dal disegno del pavimento e dalla posizione della lampada sul tavolo) ma è altresì integrato allo spazio della scala grazie al disegno continuo del pavimento che accomuna i due ambiti (a differenza del piano sottostante dove la pertinenza del pianerottolo è evidenziata da un pavimento diverso).
Al piano successivo un grosso mobile con cassetti fa da sfondo alla scala e individua un ambiente che può risultare chiuso, ovvero coinvolto con lo spazio dell'anticamera, grazie ad una tenda. L'esiguità dello spazio della scala a questo livello è riscattata, anche nel caso di totale separazione dall'anticamera, grazie alla luce - sia essa artificiale che naturale - proveniente dall'alto, dallo studio sovrastante. Il passaggio quindi dal piano del pranzo allo studio (non solo privato ma anche spesso luogo di riunione con clienti e studenti) non compromette la privacy della camera da letto - dotata di un percorso indipendente verso la stanza da bagno - ma neanche diviene un momento di sospensione del racconto percettivo destinato al fruitore che invece, rispetto ad una serie di accadimenti disposti sempre dal lato del giardino, ha qui l'apparizione del piccolo e prezioso ambito dell'anticamera predisposto sul lato opposto.
Sono i terminali architettonici, quelle parti di arredo fisse, luoghi dove l’involucro architettonico si specifica in sistemi funzionali per essere adoperati dall’uomo, che definiscono realmente la misura e la ragione stessa degli interni, l’apparato architettonico, così presente e accurato all’esterno, si stempera nel panorama interiore e il risvolto della “messa in scena” ad uso del panorama urbano diviene il sensibile disegno dell’abito “su misura” privato e personale.
Parte integrante dell'articolazione interna risultano essere quindi i percorsi e gli spazi del piccolo giardino. Questo costruisce delle alternative percorribili alla scala interna e si pone come logica continuazione dello spazio della casa. Il giardino è necessario al corretto svolgimento delle funzioni, non solo in quanto spazio fisico, ma anche come luogo su cui posare lo sguardo, scena da fruire, filtro per inquadrare e selezionare la vista della città. Esso inoltre ha le sue specifiche qualità che lo rendono un prezioso luogo della contemplazione e della riflessione, pieno di mille accadimenti - la parte coperta dalla terrazza, la piccola vasca d'acqua con il bronzo al centro, la zona del verde con l'abbeveratoio per gli uccelli, la scala, il frangisole, il sistema per il sostegno dei rampicanti - che consentono di viverlo nelle diverse ore del giorno e nei diversi periodi dell'anno.

Casa Curutchet 1949/1953, Le Corbusier, La Plata, Argentina
Percorrendo la precisa quadricola urbana della città di La Plata in Argentina, in una delle cortine della città, una assenza improvvisa della continuità dei fronti su strada, non solo attira lo sguardo, ma assorbe e cattura lo spazio urbano, impossessandosene. La piccola casa progettata dal maestro svizzero palesa schiettamente le sue intenzioni: interiorizzare la complessità urbana nel modesto recinto delle mura domestiche e proiettare, al contempo, i contenuti dello spazio privato sui margini che delimitano l'ambiente collettivo. Non a caso la forma stessa del lotto su cui insiste racchiude la duplice geometria su cui si basa l’intero tracciato della città. La casa realizza pertanto delicati equilibri tra la necessità della privacy del singolo e la partecipazione alla costruzione dell'immagine urbana.
Il linguaggio, riconoscibile eppure così spurio rispetto l'applicazione ortodossa di opere più famose, non rappresenta il contenuto principale di quest'opera che invece, nella sapiente e mai eccessiva articolazione dei percorsi a sostegno della distribuzione dei luoghi destinati alle attività, individua un'ipotesi di costruzione dello spazio domestico estremamente avanzata e matura. Il senso dell'attraversamento, del coinvolgimento, si stempera e si riduce a partire dall'esterno verso l'interno: dall'emozione della lunga e lenta rampa posta in uno spazio che non è più l'esterno e non è ancora l'interno, il fruitore viene condotto nella scatola vetrata della hall di ingresso dalla quale può rileggere per intero il tragitto percorso e imboccare la più contenuta scala che con semplici rampanti che si susseguono ordinatamente nel fondo del lotto, distribuisce ai piani superiori, fino a giungere all'ultimo livello, quello delle camere più private, dove pareti curve definiscono percorsi che pulsano sotto l'effetto della luce naturale, ora invitando, ora respingendo verso i luoghi prestabiliti. Tale costruzione del percorso che unisce con gradi di privatezza diversi le parti della casa, rappresenta il vero senso di questa opera che, nella terrazza del primo livello, un vero e proprio piccolo giardino pensile, trova la sua sintesi più coerente in quanto spazio destinato all'uso privato ma partecipe di una complessità che è sia quella dello spazio domestico che quella, percepibile, della città che si dispone alla vista attraverso il brise-soleil.
La casa non è dal punto di vista morfologico una casa a patio tradizionale, eppure conserva e moltiplica tutti i sensi più profondi di una casa ad atrio, di una dimora introversa eppure così partecipe di un esterno misurato, controllato, cioè progettato a misura dell'uomo.
La natura non è più quella “naturale”, la natura di Le Corbusier è quella dello spazio urbano, è quella del verde che interrompe lo schema rigoroso fondativo della città. Eppure con questa natura la casa si relaziona, traducendo i suoi sensi in contenuti per la significazione di un luogo domestico rinnovato e adeguato ai suoi tempi. La capacità del maestro infatti risiede proprio nell'avere suggerito non uno stile internazionale, ma un'architettura basata su principi appartenenti alle esigenze più profonde dell'uomo che non sono pertanto legati alle particolari declinazioni della sua cultura ma piuttosto alle invarianti del suo essere: le sue emozioni e le sue aspettative.

Un altro patio
La storia della città di Napoli e del suo tessuto ha peculiarità e unicità ancora oggi assolute, in pochi luoghi al mondo è possibile leggere le diverse epoche di fondazione delle diverse parti della città guardando la sua planimetria attuale; è invece ciò che è ancora possibile a Napoli. La memoria della città è salva, è conservata dalle sue pietre, dalle sue strade, dai suoi palazzi, le regole di costruzione sono ancora leggibili, a partire dalla città di fondazione greco romana le cui insule sono chiaramente visibili, ai lunghi e stretti isolati medievali che scendevano fino alla spiaggia, alla quadricola dei quartieri spagnoli voluti da Don Pedro de Toledo nel '500 ancora sostanzialmente intatta, fino alla città ottocentesca con il suo maldestro quanto fallimentare tentativo di ridisegnare una Napoli hausmaniana; la permanenza del tessuto edilizio è una delle più incredibili quanto specifiche caratteristiche di questa città.
Questo ragionamento sul tessuto urbano si incrocia fortemente con quello relativo alla tipologia edilizia, in particolare ai tipi edilizi cosiddetti aperti, la cui caratteristica è nella presenza di piccoli e grandi cortili, nella maggior parte dei casi disposti planimetricamente in asse e in stretta relazione con gli ingressi. Questa è la casa a corte napoletana, laddove la corte, per dimensioni e forma, sostituisce nel lessico il patio, si rintraccia una precisa norma compositiva alla quale rapportare la casa a corte napoletana. Oltre ai cortili principali, si ritrovano spesso cortili di piccole dimensioni, vanelle aperte e chiuse, tutte declinazioni di un tipo e di una precisa relazione pieni vuoti. Questa tipologia napoletana trova molto della sua origine in due elementi fondamentali, la tipologia mediterranea e le caratteristiche dimensionali del tessuto edilizio.
La compattezza dell'edificazione del centro antico della città di Napoli, la angustia dei vicoli e anche delle strade principali, l'altezza degli edifici, hanno portato a far si che i vuoti assumessero un ruolo centrale nelle scelte architettoniche. Tra questi è importante annoverare anche i giardini napoletani, nella maggior parte dei casi racchiusi e nascosti proprio all'interno degli isolati; nel tempo molti di questi sono spariti, ma i vuoti nella maggior parte dei casi, pur se profondamente trasformati, sono stati conservati proprio per la loro importanza posizionale e formale.
Il tessuto napoletano fitto e chiuso all'esterno, si è conformato attorno ai suoi vuoti, che hanno così assunto forme e significati molto diversi, acquistando in alcuni casi le fattezze del palazzo nobiliare, oppure conservando un carattere popolare, ma senza mai rinunciare alla corte. Il vuoto è stato sempre fonte di luce, laddove il sole in certi casi non arriva alla quota della strada per l'altezza degli edifici, luogo fortemente caratterizzato dall'essere esterno e interno al contempo, luogo delle relazioni privilegiate tra coloro che ci vivono.
Un elemento compositivo di fondamentale importanza, legato alla corte, sono le scale, elemento celebre e peculiare dell'architettura napoletana, dalla cui posizione rispetto alla corte dipendeva l'intero assetto compositivo del palazzo; in qualche modo la ricchezza formale e decorativa delle “scale aperte” napoletane dichiarava l'importanza dei proprietari, quanto dell'architetto, valgano per tutte le scale settecentesche realizzate in alcuni palazzi da Guglielmo Sanfelice. Con il barocco si da inizio ad una stagione di ricerca compositiva e di arditezza nella realizzazione, che trova nel Settecento il suo momento più alto, la scala napoletana diviene una configurazione spazio temporale che rappresenta l'architettura del tempo, raggiungendo spesso livelli di monumentalità straordinari. Le più note sono le scale aperte di derivazione quattrocentesca, che presentano rampanti più o meno irti, coperti a volte, e dei veri e propri paramenti murari traforati, si crea così una forte e inedita continuità spazio percettiva tra la corte su cui prospettano le scale e la strada da cui si percepisce guardando oltre il portale di ingresso. Talvolta le scale divengono vere e proprie scenografie architettoniche che definiscono lo spazio della vita privata del palazzo, arretrata così rispetto alla via pubblica.

Questo viaggio nel tempo e nello spazio intorno ad un vuoto, ad un pezzo di natura reso domestico ed accessibile, disponibile e comprensibile, è un viaggio che va oltre le forme e i tipi edilizi e rappresenta il portato della tradizione inteso nel suo senso più profondo di “consegna” da una generazione all'altra. La memoria dell'architetto non conserva infatti la realtà oggettivamente conosciuta ma solo il ricordo interpretato e manipolato di ciò che, parte della sua cultura stratificata, può essere trasformato in materiale vivo per progettare il futuro in cui vivere, riconoscendosi. Tradurre è si tradire il modello originario, ma è altresì l'atto di tramandare per conservare ciò in cui scegliamo di riconoscerci.

Paolo Giardiello, Marella Santangelo