cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

09 maggio 2016

Leggere il buio



Ecco, sei arrivato finalmente al bivio, lì dove due strade formano un angolo acuto. Sei nel vertice del lotto, tra i due filari di alberi che si divaricano ai due lati, e puoi vedere il prato verde, se non è inverno e non è ricoperto di neve. Nel prato il viale ti invita ad andare verso quel muro di mattoni disposto poco più avanti, ma non puoi raggiungerlo direttamente perché il cammino più breve è interrotto dallo specchio d'acqua che va aggirato.
Capisci che il tempo per raggiungere la tua meta non dipende da te, ma da chi ha disegnato quel viale che ora, per compensare il giro che ti impone, ti offre la vista dell'architettura specchiata nell'acqua, sempre che non sia tutto innevato.
Il muro, i cui filari di mattoni sono accentuati così da disegnare una trama evidente, è privo di qualsiasi ornamento e caratterizzato solo dalla linea incerta che lo separa dal cielo. Presenta due finestre e due accessi, uno più grande e uno più piccolo. Non è quindi solo un muro, non un recinto, né il retro, come dichiara la sua posizione in asse con il vertice dell'incrocio, è il prospetto principale, il lato da cui entrare nello spazio interno.
Non sai bene la funzione di quel luogo perché non ci sono simboli evidenti o insegne a descriverlo, vedi però che è una parte di un insieme articolato, omogeneo e accogliente.
Ora sei di fronte a quel muro, più che di fronte gli sei accanto, e ne percepisci la matericità, la grana dei mattoni, il colore irregolare, il disegno dei ricorsi di malta.
Le due porte chiudono, ma nel contempo invitano. Suggeriscono un uso interno che esorta ad entrare. Non ci sono portici, o pensiline, o gradini che rimarcano la soglia, le finestre sono alte ed è impossibile sbirciare all'interno, forse solo il disegno mistilineo del muro sembra dare una indicazione, perché proprio in corrispondenza della porta più piccola si eleva verso l'alto con una piccola cuspide, quasi a segnare un centro, forse un asse da percorrere.
È giunto il momento di aprire quella porta, quella piccola certamente, chi aprirebbe mai quella a due battenti più simile ad una uscita?
Ora chissà in che stagione sei arrivato qui, comunque sia certamente i tuoi occhi sono abituati alla luce nordica. A quella invernale, grigia e piatta ma moltiplicata dal bianco della neve, oppure a quella estiva, non certo esagerata ma comunque riflessa dallo specchio d'acqua adiacente.
Ecco, apri la porta, e dentro c'è solo buio. Fai un passo e il buio ti avvolge. Lasci che la porta si richiuda alle spalle e sei nel buio. Buio che è materia, è spazio, ha un peso e una misura e ti circonda non permettendoti di tornare alla luce.
Provi disagio, ma non paura. Rimani fermo, in ascolto, come se il buio potesse parlarti.
E il buio comincia a mandarti segnali che, con calma, puoi decodificare.
Se guardi bene non è solo buio. Ci sono luci, certo poche, ma ci sono. Quelle che hai davanti sono come astri nella notte, costellazioni a portata di mano che ti rassicurano, come un cielo stellato rende la notte meno spaventosa anche in assenza di luna. Sono lampade che producono deboli riflessi, verso il basso e verso l'alto dove, prima di arrivare nella parte più oscura, intercettano dischi dorati che luccicano nel buio.
Ma non è la sola luce. Ora sei attratto da un rumore, lieve, sommesso ma continuo. Il rumore di una goccia che cade in una ferita aperta nel pavimento, che ti fa voltare verso sinistra, dove scopri che le due finestre lasciano che la luce naturale tagli il buio indicando l'origine di quel rumore: una fonte dove l'acqua scorre ininterrottamente.
Muovi dei passi verso quella luce, verso quel suono, e i tuoi piedi sentono che il suolo non è piano. Devi concentrarti perché il solaio in mattoni è inclinato verso il fondo e va scoperto passo dopo passo.
Sei abituato a percepire lo spazio, a vederlo, il buio invece richiede la tua partecipazione e coinvolge tutti i tuoi sensi. Sei costretto a sentire lo spazio, non leggendo la forma dell'involucro ma decodificando gli stimoli, le emozioni che provoca in te.
Il tempo passa ed ora i tuoi occhi si sono abituati al buio, che non ti sembra più così buio. Ora vedi i limiti dello spazio, scopri la presenza di oggetti, noti le finestre sul lato destro, osservi le lame di luce provenienti dal soffitto. Soffitto che finalmente percepisci, leggendo l'andamento che deriva dalla geometria della facciata. E vedi finalmente il pilastro centrale. Grande, imponente, composto da profili di ferro disposti a sorreggere la copertura. Un incrocio di putrelle, una croce di ferro, una croce sui cui poggia la struttura che ti contiene.
Ora lo sai, hai capito che sei in una chiesa, dove il significato, divenuto simbolo, sostiene e determina lo spazio, uno spazio sacro che trasmette emozioni, usando il tempo per leggere il buio.


The Church of St Peter di Sigurd Lewerentz a Klippan