cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

17 luglio 2014

Trasformare per conservare


L'ingresso all'allestimento all'Arsenale di Venezia di Cino Zucchi, il grande portale che accoglie e invita alla mostra INNESTI/GRAFTING, materializza ed esplicita - come sempre l'architettura deve fare - ben oltre le dichiarazioni dall'autore, il tema che il curatore del Padiglione Italia della Biennale Architettura di quest'anno ha voluto affrontare nell'ambito dell'argomento generale scelto da Rem Koolhaas, Absorbing Modernity.
Dal punto di vista teorico tale tema rappresenta una costante, nuova e proficua, ricca di interessanti declinazioni, che ha caratterizzato la cultura architettonica dell'inizio di questo nuovo millennio.
E' infatti nel 2000 che in Olanda la manifestazione Paradise Paradise (catalogo pubblicato nel 2003), con A manifesto for temporary architecture and flexible urbanism, pone l'attenzione sul rapporto tra città consolidata e piccole attrezzature temporanee, tra permanente ed effimero, tra ciò che appartiene al passato e la sua possibilità di essere rivitalizzato attraverso modificazioni minime, tra continuità dell'esistente e nuove aggiunte discontinue, autonome e riconoscibili. Simbolo di tale manifesto è stato il Parasite Las Palmas a Rotterdam degli architetti Korteknie e Stuhlmacher (progettato nel 2000 e realizzato l'anno successivo), un piccolo volume architettonico innestato sulla cima del torrino scala di un edificio industriale, divenuto simbolo dello skyline della città olandese, fino al 2005 quando sono iniziati i lavori di ristrutturazione dell'attuale Nederlands Foto Museum.
Da allora la cultura architettonica ha preso coscienza di un fenomeno sempre presente nella tradizione costruttiva, quella di modificare per innovare, di trasformare pur di conservare la memoria, di sovrapporre per mantenere tutte le tracce dell'evoluzione, di intervenire a volte anche in maniera irriverente alterando le testimonianze del passato per dare forma espressiva all'oggi. Ipotesi metodologica che, dopo lunghe e a volte sterili riflessioni sullo “stile” capace di rappresentare la propria epoca, è riuscita ad esprimere una civiltà nata dalla compresenza e giustapposizione di tendenze provenienti da mondi diversi, capaci tuttavia di convivere in un unico melting pot.
In Italia la critica ha guardato con attenzione a tale fenomeno: solo per citare alcune tappe, già nel 2004 il sottoscritto presenta gli esiti di una ricerca fondata sulla teoria del costruire nel/sul costruito al XIV Seminario di Architettura e Cultura Urbana di Camerino (atti pubblicati in Interni urbani 12-13/2005), nel 2007 Michele Bonino cura la pubblicazione di un testo di Rafael Moneo dal titolo Costruire nel costruito, nel 2008 Lotus dedica un numero alla Viral Architecture, nel 2009 Sara Marini pubblica il suo testo Architettura parassita - Strategie di riciclaggio per la città e nel 2011 Renzo Piano, nell'ambito di Planningcities 2011, lancia l'appello “Costruire sul costruito” con cui avverte dei rischi di un eccesso di cementificazione a causa della mancanza di una cultura del riuso dell'esistente. Infine nel solo 2012 la rivista Architettura&città dedica un numero al tema Costruire nel costruito - Architettura a volume zero, il Festival dell'Architettura intitola una sezione allo stesso argomento e alla Biennale di Venezia la Germania dedica il suo padiglione al tema Reduce Reuse Recycle. Resource Architecture così come, estendendo i confini del tema, il MAXXI propone al grande pubblico la mostra Re-cycle (2011/12).
In soli quindici anni un fenomeno intellettuale conscio dell'impossibilità di promuovere grandi cambiamenti all'interno della città disomogenea o non progettata, e orientato ad una rivoluzione quotidiana fatta di piccoli gesti, di innesti mirati tesi a rivalutare l'esistente, ha dato vita ad una prassi progettuale, ad un approccio metodologico diffuso e condiviso, multiscalare e dagli ampi obiettivi.
Aggiunte, addizioni, superfetazioni, parassiti, innesti, stratificazioni, aggregazioni, comunque si voglia chiamarli, a qualunque scala - urbana, architettonica, arredativa - o luogo - periferie, centri storici, tessuti consolidati, vuoti - si intenda applicarli, sottendono comunque una nuova consapevolezza progettuale desunta dal riconoscimento dei valori dell'esistente, dalla coscienza del recupero, dalla necessità di compresenza di antico e nuovo, del valore semantico desunto dall'aggregazione apparentemente casuale di segni discreti.
Dal punto di vista prettamente teorico tali interventi, con le dovute differenze, convergono su due filoni disciplinari - “costruire nel costruito” e “costruire sul costruito” - entrambi finalizzati a rinnovare l'esistente riusando manufatti che hanno perso il loro valore originale, attraverso l'innesto di parti nuove aggiunte discontinue e riconoscibili, tuttavia capaci di aggiornare i valori spaziali delle preesistenze, ottenendo nuovi luoghi carichi di significati affini alle richieste di prestazioni e di sensi della contemporaneità.
L'azione di “costruire nel costruito” interviene sullo spazio di un manufatto del passato, sul suo interno, per rivitalizzarlo senza che le strutture siano modificate, agendo quindi sul contenuto stesso dell’architettura e operando su un’unità teoricamente indivisibile, concepita con una coincidenza di sensi e di espressione. Lavorare solo su un interno privo della sua funzione originale significa riuscire a separare lo spazio dalla realtà fisica della struttura che lo ha conformato e assumerlo come puro contenuto da ri-progettare, significa cioè lavorare sul “significato” dell'architettura lasciando intatto il “significante”.
“Costruire sul costruito”, invece, a partire proprio dall'involucro, dal “significante” non più capace di esprime il suo “significato”, ipotizza un approccio metodologico basato su interventi minimi capaci di aggredire l’esistente, di “sovrapporsi” ad esso e di suggerire nuove potenzialità prima non previste dalla realtà costruita.
E' la teoria del “parassitismo” desunta dall'osservazione dei fenomeni naturali, dove molti sono gli esempi di reciproco aiuto tra esseri viventi diversi, forme di assistenzialismo e dipendenza che in realtà costruiscono unioni simbiotiche che realizzano un vantaggio reciproco.
L’idea del “costruito sul costruito”, di qualcosa di autonomo e identificabile nella sua essenza materica e formale rispetto l’esistente, vuole suggerire la possibilità di affrontare il “caos” con nuove entità indipendenti e autonome, capaci di innestarsi sulla realtà oggettiva, e di restituire a questa nuove possibilità d’uso e di fruizione, di comprensione e di lettura. Interventi non necessariamente confrontabili con la scala del preesistente, oggetti a scala umana, in grado però di modificare le ragioni stesse di uno spazio o di un luogo.
Il principio di entità nuove ed estranee aggiunte al preesistente suggerisce una modificazione in cui le diverse fasi della stratificazione nel tempo siano tutte leggibili e, soprattutto, in grado di conservare l’integrità dell’originale affinché questa possa, almeno teoricamente, essere in ogni momento recuperata, aumentando lo spessore della stratificazione della memoria per percepire le trasformazioni attraverso segni impressi sulla storia.
La prassi progettuale corrente ci mostra molti esempi assimilabili ai principi descritti, in ogni parte del mondo, con diverse tecnologie, scale e finalità anche distinte, tutti comunque attenti alla lettura di ciò che culturalmente è in grado di persistere, di esigere attenzione e cura per continuare a partecipare alla vita dell'uomo. Le azioni progettuali proposte non sono sempre rispettose dell'integrità della composizione o morfologia originaria, ma sono la materializzazione del desiderio collettivo di conservare e rilanciare i valori riconosciuti quali testimonianze vive della propria cultura. Gli “innesti” diventano lo strumento con cui dare forma al presente, non segni esaustivi capaci di interpretare il bisogno assoluto di nuovo, ma contrapposizioni e accostamenti tra parole che, singolarmente sarebbero prive di senso e che, insieme, sono in grado di prospettare un futuro da vivere, con un linguaggio non aulico e da tutti comprensibile.