cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

31 gennaio 2013

Abitare la memoria




L'interesse della Facoltà di Architettura di Napoli verso il recupero e la valorizzazione dei cosiddetti "centri minori" è testimoniato, sin dalla fine degli anni '90, dalle ricerche effettuate dal gruppo di studiosi dell'area degli interni che, attraverso pubblicazioni, tesi di laurea, seminari e workshop, hanno cercato di affrontare, sia dal punto di vista metodologico, che nell'impostazione teorica e culturale, il tema del riuso di architetture, paesi, località e territori abbandonati o in parte dismessi. Da quelle prime esperienze, originali, innovative ma anche acerbe e anticipatrici, la questione dei piccoli centri, è oggi divenuta di grande attualità; affrontata con differenti modi e finalità, mostra con chiarezza fallimenti e successi di cui la critica, il mercato, e la ricerca non possono non tenere in conto.
Il recupero dei borghi o dei villaggi abbandonati non è più quindi solo un problema disciplinare o scientifico, ma è un vero e proprio caso imprenditoriale, un obiettivo politico, una necessità sociale di cui si deve conoscere l'evoluzione per poterne immaginare le prospettive.
Quest'ultimo decennio è testimone quindi di teorie e di prassi, di esperienze e di realizzazioni da cui possiamo estrapolare alcuni momenti che hanno indirizzato e caratterizzato sia la ricerca che il progetto.
Una fase, alla quale, in parte, ha contribuito anche la ricerca prodotta dalle università, è stata proprio quella del riconoscimento dei valori di tali luoghi perduti. I fenomeni che causano l'abbandono infatti, siano essi di tipo sociale, economico o culturale, prescindono dal giudizio di valore su ciò che viene lasciato e fermano la loro attenzione solo sulle ragioni scatenanti il processo, derivanti delle opportunità o delle motivazioni pragmatiche che lo giustificano. Tale fase di recupero dei valori è quindi uno stadio necessario, di carattere introspettivo, di analisi, percezione e attivazione della memoria collettiva e individuale e di presa di coscienza della storia (quella con la “s” minuscola) vista attraverso il fluire ininterrotto delle tradizioni.
Altro momento fondamentale è quello che consente di riflettere e intervenire sulla attribuzione di nuovi contenuti, e cioè sull'identificazione e definizione di principi, valori e sensi atti a colmare il vuoto causato dal progressivo abbandono. Vuoto fisico e fruitivo ma anche mentale e culturale; quindi la scelta di destinazioni d'uso e indicazioni funzionali capaci di adattarsi alle forme private del proprio contenuto e di restituirgli nuovi e attuali significati. Questa fase è certamente la più complessa in quanto prevede una valutazione non settoriale ma pluridisciplinare: non esistono infatti soluzioni univoche capaci di soddisfare le problematiche connesse alla rivitalizzazione di tali luoghi se non derivanti dalla sintesi di analisi scaturenti da più punti di vista tra loro relazionati.
Infine vi è la fase operativa, o propedeutica alla progettazione, per la quale è necessario definire le strategie metodologiche atte a raggiungere gli obiettivi prefissati. Tale circostanza, sempre in evoluzione, negli ultimi anni ha prodotto alcune tra le riflessioni più interessanti: la distinzione concettuale tra recupero e restauro, l'indicazione di linee culturali condivise dalla critica quanto dalla collettività, il contributo di tecnologie innovative, la sensibilità verso la sostenibilità e la adeguatezza delle soluzioni tecniche da adottare.
Le esperienze recenti rappresentano la materializzazione del crescente interesse verso il recupero dei caratteri distintivi dei luoghi attraverso la riappropriazione di tracce e testimonianze costruite, di spazi da riportare all'uso, nonché mostrano variegati ed interessanti approcci operativi, a volte anche divergenti, ma pur sempre criticamente validi e sostenibili.
Quello che invece appare contraddittorio e a volte discutibile, dei casi realizzati e che a distanza di pochi anni palesa alcuni limiti, è il percorso che ha portato alla scelta di funzioni idonee e quindi l'attribuzione di significati innovativi capaci di rivitalizzare non in maniera temporanea, e soprattutto con coerenza, i manufatti storici e tradizionali, l'ambiente costruito e il territorio, su cui si è intervenuti. Scelte non sempre perfettamente ponderate, ovvero a volte accolte senza una necessaria valutazione critica, hanno portato a dover oggi riflettere ancora su tale tema.
Partendo infatti dalle ragioni dell'abbandono di tali centri minori si è dato, troppo in fretta, per scontato che essi non potessero più rappresentare un adeguato luogo dove vivere, dove risiedere, il che ha comportato che gli investitori, come anche le ricerche, si sono orientate verso l'identificazione di nuove e diverse funzioni compatibili con la forma dei luoghi. La mutazione di tali borghi in alberghi diffusi, in resort o in ogni caso in luoghi esclusivamente di vacanza, così come il tentativo di trasformarli in centri commerciali o in raffinate location per la promozione di prodotti o manifatture particolari, non ha dato ovunque l'esito sperato. L'eccessiva proliferazione e, talvolta, errate valutazioni hanno creato il preoccupante fenomeno ora di mancato utilizzo del bene anche dopo il suo recupero materiale, ora di sovrapposizione di funzioni non sempre coerenti con lo spazio della preesistenza. Il problema della giusta destinazione d'uso non va infatti visto né misurato solo alla scala del manufatto edilizio o del tessuto urbano. La ricaduta di tale scelta va, per esempio, valutato verso la fruibilità del bene che non può essere interdetta a chi non è un utente diretto di tale funzione, le relazioni che si innescano con il contesto sociale del territorio circostante in quanto non può essere un luogo distinto o avulso dalle dinamiche complessive, la ricaduta in termini di sviluppo, economia, servizi e promozione, ed infine l'integrazione e la diffusione anche in termini di cultura e formazione intesa come riscatto e avanzamento dell'intera popolazione.
Ciò che infatti è criticabile di molti casi realizzati è il passaggio da un sistema aperto ed integrato appartenente al borgo, inteso come luogo di vita, a quello esclusivo e privato, elitario o settoriale delle funzioni commerciali, turistiche o museali.
Il vero recupero infatti non è solo quello fisico quanto piuttosto quello del soddisfacimento di bisogni e necessità utili allo svolgimento della vita nel quotidiano dell'intera collettività.
Ecco che quindi, le ricerche a suo tempo intraprese oggi devono accogliere esperienze e riflessioni, slegandosi dalle ragioni del "come" e del "dove" e affrontando quelle del "perché" e "per chi".
Il recupero di borghi o villaggi, di conventi o palazzi deve oggi andare oltre la risoluzione, pur corretta, di problematiche specifiche - proprie dell'architettura, del restauro, dell'arte -
deve liberarsi da scelte a volte miopi in nome di una autonomia economica e sostenibilità temporale dell'intervento e deve rivolgersi al recupero non delle cose ma di ciò che tali cose possono rappresentare per l'uomo in termini di sviluppo e progettazione del suo futuro.

C'era una volta un muro




"C'era una volta un muro", sarebbe un ottimo inizio per provare a raccontare, con semplicità, quasi si trattasse di una fiaba, a chi non vive con consuetudine il mondo dell'architettura, i principi, arcaici ma mai perduti, del costruire, del dare forma concreta ai principi dell'abitare. Un tempo dire muro, colonna o pilastro, non significava enunciare solo il nome di una componente strutturale, quanto suggerire un'idea di architettura, la possibile morfologia di uno spazio. Non solo, tale sostantivo sarebbe stato certamente accompagnato da un complemento di specificazione e cioè dalla precisazione del materiale con cui la struttura era concepita. Pertanto “c'era una volta un muro di pietra” sarebbe stata certamente una storia ben diversa da quella di un muro “di mattoni” o “di paglia” o “di terra cruda”.
I materiali storicamente sono stati quelli del luogo, quelli a portata di mano, noti nelle caratteristiche alle maestranze, adatti a sopportare il caldo o il freddo, la pioggia o la siccità in quel determinato territorio. I muri non sono mai stati tutti uguali in quanto ogni materiale, ogni spessore, ogni posa in opera lo avrebbe caratterizzato. Non si possono scegliere indifferentemente in quanto sono l'immagine stessa del luogo, l'idea che esso propone e che di esso si ha, lo strumento per radicare quel manufatto al territorio e, nel contempo, per rappresentarlo.
Questo, chi costruisce, lo ha sempre saputo, non solo per edificare in maniera conveniente e coerente, si direbbe oggi rispettando l'ambiente, ma anche per sfruttare al meglio il portato simbolico dei sistemi costruttivi, i linguaggi dei materiali e della loro posa in opera.
Perché la tecnica, vera o presunta, sostanziale o anche solo immaginata come rivestimento, su cui si basa la composizione strutturale diviene l'immagine stessa del carattere, la forma significante del manufatto da realizzarsi. Non a caso in architettura si parla di “decorazione tettonica” e cioè del linguaggio scaturente dalla corretta disposizione dei materiali secondo regole proprie della buona costruzione. La disposizione del materiale condiziona il pattern geometrico che suggerisce un proprio ordine e quindi la regola con cui misurare e comprendere lo spazio.
Costruire implica quindi prendere atto della "natura espressiva dei materiali", della loro capacità di rendere espliciti i sensi di cui nel tempo sono stati portatori, da quelli strutturali a quelli simbolici, narrativi ed evocativi. Lo spazio architettonico è definito infatti dalla struttura e si carica dei contenuti che questa suggerisce attraverso le proprietà del materiale con cui è realizzata, le matrici geometriche connesse alla sua posa in opera e la composizione derivante dalle regole costruttive.
In un'epoca in cui il principio del rivestimento è andato oltre il semplice scollamento tra materiale e struttura portante, e ha raggiunto una autonomia linguistica e narrativa attraverso tecniche e materie estranee alla storia del costruire, tornare a comprendere il portato dei materiali della tradizione significa prevedere una permanenza dei valori originari, ovvero un adeguamento dei loro significati arcaici. Per questo abbandonare il pregiudizio del muro quale supporto ingenuo di significati provenienti da altre forme espressive e tornare a far coincidere la sua sostanza di supporto necessario alla costruzione con il racconto dei sensi dello spazio che racchiude, significa radicalizzare il ruolo dell'architettura che altrimenti rischia di essere diluito in un mondo governato solo dal segno, dall'immagine.
Così un muro può essere davvero un muro, come un principe o un re in una favola, e cioè come un personaggio archetipo di cui ben si conosce il ruolo e il carattere, e svolgere adeguatamente il proprio compito non ibridato né compromesso da altre considerazioni aggiunte, il ruolo di diaframma di separazione tra spazio e spazio, tra interno ed esterno, tra natura ed artificio.
"C'era una volta un muro, capace di definire uno spazio privato, distinto dalla natura, dove accogliere e raccogliersi e con cui raccontare agli altri quello in cui si crede e ciò che si spera di diventare", potrebbe essere una bella storia da raccontare.

08 gennaio 2013

lettera (e non solo) ad uno studente di architettura



La "lettera ad uno studente di architettura" è diventata ora un piccolo libro. Dopo alcuni anni, partendo da quelle veloci considerazioni, dirette ed istintive, ho deciso di continuare a comunicare direttamente con "un giovane studente di architettura" e raccontargli, senza fronzoli, idee, considerazioni e riflessioni sulla disciplina, sedimentate nel tempo.
Un piccolo dono a chi ama questo mestiere, a chi vuole studiarlo seriamente, a chi semplicemente non sa farne a meno.
E' ora in stampa, e sarà a breve in libreria per i tipi di LETTERAVENTIDUE.

PG