cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

23 novembre 2013

La forma del viaggio*

Il viaggioi è sempre scandito da luoghi, dal luogo di partenza e di arrivo e da tutti quelli che si attraversano. Con maggiore precisione è possibile dire che il viaggio è sempre un percorso che, nel passaggio da un luogo ad un altro, attraversa territori e spazi diversi, a volte alternativi, in ogni caso concatenati tra loro, che conduce in definitiva da una architettura ad un'altra: a partire dalla propria dimora, attraverso stazioni ferroviarie, aeroporti, porti, autogrill, stazioni di servizio, parcheggi, utilizzando strade, gallerie e ponti, fermandosi in alberghi, pensioni, motel, capanni, campeggi o ancora case, fino ad arrivare alla meta prescelta, sia essa un luogo costruito – città, villaggio o paese – o un frammento antropizzato della natura. Alcuni di questi luoghi, di queste architetture, si attraversano solamente, altre ci accolgono, altre ancora ci servono per proseguire il cammino, alcune di esse sono private, altre pubbliche, ma solo alcune sono parte integrante del viaggio, ragione e fine dello spostamento da un luogo ad un altro.
Tra queste quelle pubbliche e di passaggio, veri e propri strumenti che permettono di realizzare il viaggio, sono definiti “luoghi di transito”. Tali spazi sono quelli che introducono nella dimensione del viaggio, che compiono il rito di “estrarre ed astrarre” il viaggiatore dalla sua vita quotidiana e di portarlo in una condizione fisica di spostamento da un luogo ad un altro che è, comunque, una nuova dimensione psicologica e personale, di cambiamento e di modificazione del ritmo esistenzialeii.
I luoghi di transito non sono però la “ragione” del viaggio, essi introducono al viaggio, spesso ne rappresentano l'inizio e la fine, a volte anche le tappe intermedie. In tali luoghi si entra in contatto, si prende, si lascia o si cambia il mezzo di trasporto che condurrà alla meta realizzando, così, il tempo proprio del viaggio, sono cioè gli spazi che segnano il passaggio tra il ritmo consueto della vita e la dimensione temporanea del viaggiare, del muoversi nel mondo.
Viaggio che, col passare del tempo, ha perso parte del suo fascino e della sua attrattiva originari, in quanto non più momento raro ed eccezionale della vita.
Fino a pochi anni fa era il viaggiare stesso che emozionava e stupiva, la condizione fisica e psicologica di lasciare il luogo sicuro e conosciuto della propria dimora permanente per avventurarsi verso luoghi e mete da conoscere e da inventare.
Il viaggio, invece, nella contemporaneità è a tutti gli effetti uno strumento, un mezzo per giungere in un posto, ovvero per passare da un determinato stato ad un'altra condizione, fisica o mentale, di cui si ha necessità o anche solo desiderio.
Per tale ragione le stazioni, i porti o gli aeroporti non sono più i “templi” dedicati al viaggio ma sono semplicemente dei “portali” – intesi sia nell'accezione comune del linguaggio di internet - di siti che rimandano ad altri siti – sia nel senso classico di “porta” attraverso la quale introdursi verso nuove realtà – semplici soglie che segnano il passaggio da una condizione di staticità ad una dinamica propria dello spostarsi nel territorio.
Questo senso del movimento – della velocità – ha pervaso, all'origine, il linguaggio stesso di tali architetture e dei relativi ambienti, che ha cercato di materializzare, attraverso linee orizzontali tese e sfuggenti, sottolineature e tagli espressionisti, il senso futurista, l'ideale mitico del viaggio e dei nuovi mezzi di trasporto. Oggi tutto questo non ha più quella carica dirompente ed innovativa e quindi, in quanto semplici spazi da attraversare per breve tempo, in quanto ambiti della consuetudine e della quotidianità, gli odierni luoghi di transito sono strumenti utili e comuni, contenitori funzionali atti a svolgere le azioni necessarie alla preparazione del viaggio. Sempre più spesso, con il loro linguaggio, più che suggerire la velocità o il movimento, sottolineano l'accoglienza e l'ospitalità, come si addice ai luoghi in cui si è ricevuti quando si lascia il proprio spazio privato.
I luoghi di transito sono quindi sempre più lontani dalle stazioni ferroviarie o dagli aeroporti di soli trent'anni fa e hanno assunto una conformazione e un'organizzazione simile agli attuali centri commerciali dove l'omologazione delle offerte, ha creato la totale assenza di identità e carattere che un tempo distinguevano tale tipo di infrastrutture.
Con l'auto, col treno, con la nave o con l'aereo si viaggia invece in un unico infinito luogo, privo di caratterizzazioni che ne indichino l'appartenenza, privo di un linguaggio esteriore, sovraccarico di segni e stili all'interno, sempre uguali per conformazione, organizzazione e offerta.
Il mito del viaggio, oltre che dalle stazioni ferroviarie, è stato espresso dalle stazioni di servizio, dagli autogrill e dai motel che hanno punteggiato le grandi direttrici autostradali, nate in Italia nel secondo dopoguerra, divenute la vera icona della sua rinascita, ricostruzione e sviluppo.
L'auto interpreta il viaggio per tutti, il raggiungimento di uno status sociale che si traduce nella possibilità di vivere nuove opportunità di vita grazie alla raggiunta mobilità attraverso il proprio Paese. L'autostrada segna fisicamente il territorio, rende visibile la traccia lasciata da coloro che viaggiano, unisce regioni differenti e quindi consente, a chi viaggia in auto, di partecipare ad un rito collettivo, di essere parte del progresso, della conoscenza, dei riti della modernità.
Per tale ragione il sistema autostradale è da considerarsi, non l'insieme di vari luoghi di transito, ma un unico e compatto luogo di transito a scala nazionale, non la somma di infrastrutture e piccole architetture, ma un unico e gigantesco progetto diffuso capace di unire e modificare parti di territorio distanti tra loro.
Non è un caso che in origine, per tali luoghi di transito, è immediato l'uso del linguaggio della modernità, e di strutture all'avanguardia. Non si tratta solo di tradurre la velocità in forma, di significare lo spostamento o il viaggio, ma di segnalare quanto la rete capace di unire l'intera nazione sia una concreta svolta verso il futuro. Futuro in cui credere, futuro di prosperità e ricchezza e, come tale, il linguaggio moderno di autogrill e motel, in Paesi come l'Italia, viene declinato ad un livello sofisticato e prezioso, divenendo l'ostentazione di un lusso alla portata di tutti.
Nel 1960 la rivista Life presenta l'autogrill Pavesi a Lainate sull'autostrada Milano Laghi come espressione di un italian luxury che rende evidente e spettacolare in questo paese, più che altrove, la rinnovata prosperità economicaiii.
Le architetture della mobilità non sono espressione diretta della funzione – invero banale e ripetitiva – , non sono la declinazione dei caratteri stilistici o costruttivi del luogo, sono davvero la forma del sentimento che essi esprimono prima ancora della funzione che rivestono: sono la forma del progresso economico e tecnologico, sono la rappresentazione di uno stile di vita che cambia e di nuove opportunità che si prospettano.
L'adozione programmatica del registro costruttivo moderno costituisce una premessa decisiva per lo sviluppo di un'identità italiana dell'architettura autostradale. Diversamente, nell'esperienza americana, la generale familiarità con le tecnologie moderne non impedisce l'impiego diffuso di tecniche e materiali tradizionali, coerenti con una immagine architettonica convenzionale ed espressione della middle-class americana, solo in alcuni casi revisionata attraverso incursioni nel linguaggio dell'international style, nel tentativo di aggiornare l'iconografia ricorrente dei diner e dei grill. […] Gli edifici a ponte […] nel panorama italiano stabiliscono un'imponenza figurativa del segno architettonico e ingegneristico clamorosamente contrapposto – quale icona di modernità – alla misura domestica del paesaggio rurale circostanteiv.
Per questo il linguaggio delle architetture autostradali si propone, sin dall'inizio, moderno, razionale, tecnologico, tanto era evidente la distanza tra il contesto e la rete stradale, tra la memoria dei luoghi e l'immaginazione di un sistema di trasporti non paragonabile a niente prima di allora.
Il moderno, quando è stato uno stile, quando ha saputo essere un codice capace di tradurre in segni le potenzialità di tecnologie innovative, ha sempre saputo dare forma al rinnovamento, alla trasformazione, al divenire. Questo fin quando lo stupore permane, la novità persiste, fino a quando cioè è necessario trasformare la consuetudine in linguaggio, lo stato di fatto in forma del quotidiano.
La leggibilità e la visibilità dei luoghi che scandiscono il viaggio, palesando autonomia linguistica, innovazione funzionale e ostentando tecnologie d'avanguardia, diventano, non per mimesi ma per contrasto, l'immagine del contesto, interrompendo la continuità del paesaggio e proponendo l'unicità della funzione autostradale.
Comunque, sin dalla loro prima apparizione, le architetture delle infrastrutture hanno dichiarato il loro essere luoghi di vendita e servizi, e quindi destinati al commercio, tanto da essere addirittura identificati attraverso il nome stesso dello sponsor (Pavesi, Motta, Agip, Esso), fondendo in un unico segno significante sia la loro destinazione mercantile che il contenuto. La pubblicità e la riconoscibilità come luogo di vendita non ha cioè mai offuscato il loro essere, anche luoghi di sosta, di ristoro, di rifornimento, di riposo, di accoglienza, capaci di tradurre queste esigenze in forme condivise e accettate, attraverso un linguaggio adatto a rappresentarli.
Nell'attualità le architetture per l'autostrada, ma invero tutti i luoghi di transito, per essere sostenibili e competitivi, hanno dato sempre più spazio alle attività commerciali che, non dialogando adeguatamente con la funzione primaria, finiscono per assorbirla, per privarla del proprio portato simbolico, riducendo tutto ad un grande, infinito, supermercato.
Sfiorisce quindi l'idea della stazione di servizio come monumento al mito della velocità e del movimento continuo, e cresce allo stesso tempo il suo valore d'uso e di mercato come luogo di sosta, di vendita, di svago, lungo un tracciato che collega tutto e tuttiv.
Le attività commerciali non solo hanno invaso fisicamente con negozi e punti vendita tali luoghi ma li hanno anche omologati attraverso la pubblicità onnipresente, gli schermi che trasmettono spot e le comunicazioni audio che ricordano le varie offerte da non perdere. “La prima domanda che ci si fa dopo aver passeggiato intorno a questa quantità di roba è: ma la gente la compra? La risposta è si. Perché è allegra e ben disposta e alla fine di un'indecisione sa sempre rispondere: ma siamo in vacanza! - proprio perché è già in vacanza. Non è un caso che il percorso dei corridoi degli autogrill sia uno dei primi concepiti in modo razionale per il consumo. E' uno dei primi che è stato strutturato in modo che per uscire da un autogrill devi per forza passare accanto a tutto – tutto – ciò che è esposto quivi.
In questa deriva contemporanea in cui prevale la funzione commerciale mettendo in ombra quella originaria legata al viaggio, i luoghi di transito non sono più capaci di proporre un evidente linguaggio architettonico così come è stato all'inizio della loro apparizione, non riescono cioè a tradurre in forma il senso che gli è proprio - il viaggio - ma solo a “contenere”, spesso in maniera anonima, l'insieme delle funzioni commerciali.
Anche il concetto di viaggio è stato pesantemente attaccato dalla surmodernità: grandi nonluoghi posseggono ormai la medesima attrattività turistica di alcuni monumenti storici. [...] Anche i centri storici delle città europee si stanno sempre di più omologando, con i medesimi negozi e ristoranti, il medesimo modo di vivere delle persone e addirittura gli stessi artisti di stradavii.
Forse però, viste le aspettative della società odierna, la molteplicità dei linguaggi, l'uso trasposto e mediato da altre forme espressive e di comunicazione non è errato e corrisponde alla molteplicità sfuggente e cangiante che caratterizza la forma dei nostri tempi.
Gli autogrill sanno benissimo com'è l'umore dei viaggiatori che fanno una sosta sull'autostrada. Lo sapevano già quando sono nati insieme alle autostrade, quando gli ingorghi e gli esodi non esistevano, ma esisteva insieme alla nascita degli autogrill e delle autostrade – preesisteva anzi – questa leggera euforia di essersi messi in viaggio, del portabagagli carico di roba, della sosta per il caffè, del controllo continuo del cielo per capire com'è il tempo, alza e abbassa il finestrino, accendi e spegni il riscaldamento e tutto il resto delle cose che man mano allontanano da casa, dalla solita vita, in nome di una non identificata eccitazione, insensata – ma perché dovrebbe essere sensata? E perché il traffico, l'esodo, gli ingorghi, una coda per un incidente dovrebbero minare tutto questo? In fondo il sentimento è: siamo tutti desiderosi di andare via. E gli autogrill lo sanno. Conoscono perfettamente questo umore perché sono modellati su di esso. Conoscono alla perfezione soprattutto la conseguenza psicologica di questo umore […] il risultato di tutto ciò, gli autogrill lo sanno, è un senso di diversità dalla vita quotidiana [...]viii.
Ciò che conta nella ricerca finalizzata alla definizione dell'habitat umano, è dare nuovamente a tali spazi una caratterizzazione, una misura, un'atmosfera coerente con gli stati d'animo degli utenti viaggiatori, attraverso soluzioni che rispondano alle sue esigenze psicologiche prima ancora che ai suoi bisogni pratici. Caratterizzazione, misura, atmosfera, sono termini che vogliono stimolare soluzioni adeguate all'analisi delle emozioni, alle sensazioni e alle percezioni, alla mutevolezza e alla diversità dei caratteri dei singoli e alla varietà e eterogeneità degli utenti.

*Il presente testo è estratto da: Giardiello P., iSpace, oltre i nonluoghi, Letteraventidue, Siracusa, 2011.

i Cfr. Giardiello, P., Waiting. Spazi per l'attesa, Clean, Napoli 2010.
ii Cfr. Augé, M., Un ethnologue dans le métro, Parigi, 1986, trad. it. Un etnologo nel metro, Elèuthera, Milano 2005.
iii Greco, L., Architetture autostradali in Italia. Progetto e costruzione negli edifici per l'assistenza ai viaggiatori, Gangemi, Roma 2010, p. 17.
iv Ivi, p. 18.
v Ciorra P., op. cit., p. 42.
vi Piccolo, F., “Tempo di percorrenza troppo lungo”, in L'Italia spensierata, Laterza, Roma/Bari 2007, p. 73.
vii Cfr. voce nonluogo in wikipedia, l'enciclopedia libera, http://it.wikipedia.org/

viii Piccolo F., op. cit., p. 69. 

22 novembre 2013

brevi note sull'allestimento

L’allestimento è la risposta alla esigenza di comunicazione di un contenuto; il termine comunicare deriva dal latino communicare, un verbo collegato al sostantivo communis, che significa “comune”, per cui communicare indica l’azione di “mettere in comune”, di rendere comune, di divulgare e mostrare, un contenuto che si intende condividere e comunicare.
Comunicare però è più di informare, un allestimento non solo spiega ed espone ma rende espliciti i valori e i significati di ciò che racconta. Esso da forma ai contenuti e li rende trasmissibili e assimilabili. Il fine di allestimento è infatti quello di costruire intorno all'evento esposto o al messaggio da comunicare un’emozione fruitiva, percettiva, sensoriale complessa e completa, di tradurre in forma spaziale e simbolica valori che non necessariamente devono essere contenuti nel luogo in cui si svolge ma solo da esso evocati.
Come campo progettuale esso si confronta con la velocità e l’innovazione dei mezzi offerti dalle tecnologie più avanzate proponendo un nuovo abito all’esigenza di informazione, comunicazione e divulgazione di contenuti. E’ certamente la prassi maggiormente attenta alle sollecitazioni del mondo dell’arte e della multimedialità, pur rimanendo a tutti gli effetti un'esperienza strettamente legata all'architettura intesa come spazio capace di trasmettere emozioni.
L'allestimento in un monumento storico, o di parte di esso, implica la consapevolezza di declinare il contenuto espositivo da trasmettere attraverso la relazione dialettica tra l'apparato progettato e la preesistenza, tra il contenuto attuale e il contenitore del passato; tali casi rappresentano, evidentemente una eccezione dove contenuto e contenitore coincidono.
Si tratta di un progetto di museo dove la “cosa da esporre” ed il “luogo in cui esporre” coincidono in quanto ciò che viene comunicato è in parte strettamente connesso con il sito stesso in cui si è. La disciplina della museografia regola metodi e azioni proprie del progetto di un’esposizione permanente, ma non solo, ad essa è sottesa un’operazione progettuale che, a partire dall’oggetto, dal bene - genericamente inteso - da conservare, mostrare o promuovere, e dal suo modo di entrare in contatto con il fruitore, determina - o rinnova - il senso stesso del luogo e degli spazi in cui esso si colloca. Progettare un museo, o anche solo un allestimento museografico, non significa solo concepirne la morfologia e la distribuzione, quanto piuttosto dare ad esso una “forma significante”, alle strutture espositive come allo spazio che le contiene, e quindi assegnando ad ogni parte percepita un preciso ruolo nel processo di comunicazione e coinvolgimento dell’utente.

Rispetto alla “permanenza” del monumento, l'allestimento estrapola, da esso e dal contesto in cui è inserito, i contenuti selezionati da trasmettere, agendo sulla stratificazione di segni, di sensi, di livelli funzionali; opera cioè sul processo della trasmissione dei valori secondo criteri e approfondimenti che possono mutare ed adeguarsi alle differenti richieste dei fruitori. Rappresenta pertanto un nuovo layer aggiunto alla stratificazione storica tradizionale, con un “tempo” diverso, reversibile e non definitivo, adeguabile alle variazioni di gusto e di linguaggio espressivo, grazie anche a tecnologie reversibili e non invasive e alla flessibilità dei contenuti multimediali.

*tali riflessioni sono state elaborate per una relazione di progetto di allestimento in un edificio storico monumentale.

08 novembre 2013

'Largo ai giovani' - Carrozza, via i prof. over settanta.

"A 70 anni i professori universitari, se fossero generosi e onesti, dovrebbero andare in pensione, e offrirsi di fare gratuitamente seminari, seguire laureandi, od offrire le proprie biblioteche all'università". Sono le parole del ministro dell'Istruzione, Università e Ricerca, Maria Chiara Carrozza, intervistata da Sergio Nava a 'Giovani Talenti' in onda su Radio 24, che andrà in onda domani, sabato 9 novembre, alle 13.30.
Per il ministro Carrozza, "chi vuole rimanere in ruolo oltre i 70 anni offende la propria università e offende i giovani. Sono sempre stata per un pensionamento rapido, magari non uguale per tutti. Ma non si può tenere il posto e pretendere di rimanere, solo perché è un diritto. Prima di tutto bisogna pensare ai propri doveri. In un momento di sacrifici per tutti, a maggior ragione li devono fare le persone che hanno 70 anni, e che hanno avuto tanto da questo mondo".
Il ministro Carrozza attacca anche il blocco del turnover negli atenei: "Abbiamo pensato di risparmiare, bloccando il turnover per anni, il che significa la morte nell'università e nella ricerca. Risparmiare sul turnover significa chiudere le porte a ciò che è fondamentale per l'università: il ricambio generazionale".