cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

24 novembre 2011

Lo spazio “difficile”


Il luogo di vita per eccellenza dell’uomo è la casa. Spazio progettato o anche solo individuato e scelto, tra altri, nella natura, riparo primordiale e baricentro dell’ambiente conosciuto e controllato, rifugio in cui si sente protetto, nel quale e dal quale riesce a raccogliere e intuire la complessità del mondo che lo circonda. La casa è conformata a misura dei suoi movimenti, proporzionata intorno ai suoi bisogni e ha preso la forma dei suoi desideri, conserva strumenti, oggetti d’uso e ornamentali, accoglie lo stratificarsi del tempo e diviene prezioso contenitore di memorie, semplice e essenziale scena, nella sua consistenza più compiuta, della vita di ogni giorno.
Quando l’uomo comincia a costruire apparati e meccanismi con i quali muoversi più velocemente – carrozze e automobili, vascelli e navi da crociera, mongolfiere, dirigibili e aerei – nel conformare gli spazi a lui destinati, relativamente e proporzionalmente al tempo di permanenza, preleva solitamente soluzioni e impostazioni dai luoghi domestici, da quegli spazi della casa che evocavano in chi la abita sensazioni di accoglienza e confort, protezione e comodità, che reputa indispensabile infondere nei nuovi ambiti che ha ideato. I vagoni ferroviari, al pari dei saloni delle barche, riproducono in prima istanza, non senza i dovuti adattamenti, situazioni direttamente tratte dagli ambienti della sua residenza. Finanche i materiali impiegati per la costruzione e le terminazioni degli spazi interni, delle cabine e dei vagoni, a volte sono quelli propri dello spazio domestico – stoffe, legni, marmi, specchi - a differenza delle forme, delle tecnologie e tecniche adottate per la realizzazione dei mezzi di trasporto – ferro, acciaio… -.
Agli esordi del moderno però si osserva un’inversione di tendenza. Gli aerei, le navi, i treni e le automobili cominciano a sviluppare un linguaggio proprio, ad assecondare un immaginario e un’aspettativa specifica legata al mito del nomadismo, del viaggio e della velocità a cui le avanguardie artistiche e letterarie contribuiscono a definirne i lineamenti. Gli interni di tali mezzi cioè si riscattano dalla dipendenza propria dell’immagine statica e tranquillizzante della casa e danno vita a nuove soluzioni adatte alle specifiche modalità di uso dello spazio interno, limitato nel tempo e nella dimensione, flessibile e compatto, rinnovato nei materiali e nelle funzioni. Gli interni di tali mezzi e veicoli divengono estranei a comportamenti e a ritualità tradizionali e, tendendo a una diretta corrispondenza tra forma e funzione, tra immagine e contenuto, propongono in definitiva nuovi stili di vita.
Ed è in questi anni che gli architetti, consci dello scollamento tra forma dello spazio di vita e nuove modalità di relazioni tra gli uomini, tra l’immagine stilistica degli interni e le nuove forme proprie dell’immaginario collettivo rinnovato, auspicano un rinnovamento anche del progetto della casa adeguandolo a quello suggerito dai nuovi mezzi e luoghi a disposizione dell’uomo, invitano cioè a pensare alla casa, non più come a obsoleti sistemi funzionali inamovibili, bensì come a una “macchina da abitare”, a uno strumento da usare e trasformare giorno dopo giorno. E’ Le Corbusier a parlare della casa come di una macchina da abitare con gioia in occasione della presentazione del Pavillion de l’Esprit Nouveau all’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes del 1925 con la quale propone un esempio di casa modulare pensata come cellula di un organismo complesso capace di dialogare con la città e la natura, casa a sua volta fondata su un sistema arredativo del tutto innovativo e rivoluzionario nei confronti dello spazio interno: i Casiers Standard.
Concepire la casa come un articolato meccanismo da abitare significa pertanto “cucire” spazi e strutture direttamente intorno all’uomo, allestire un vero e proprio abito “su misura” comodo e funzionale, superando tradizionali assetti formali ormai non più corrispondenti ai ritmi e alle aspirazioni dei nuovi tempi. Gli oggetti, le suppellettili, gli apparati decorativi abbandonano la loro classica carica simbolica e il consueto aspetto morfologico, propri di significati perduti, e si misurano finalmente con i sensi del contemporaneo, cercando di proporre l’immagine stessa del futuro. Immediatamente successiva al Pavillion de l?Esprit Nouveau è la Maison de Verre di Pierre Chareau vera e propria icona di un nuovo modo di coniugare i meccanismi e le potenzialità della tecnica industriale con le sofisticate potenzialità di un sapiente artigianato del mobile. Ma i riferimenti in tal senso non possono non giungere fino agli anni ’60, ed in particolare alle soluzioni proposte da Joe Colombo in Italia che rappresentano non solo un nuovo stile e un rinnovato gusto verso gli arredi e lo spazio interno, ma sono finalmente l’interpretazione di un’inedita concezione di vita, forse più auspicata che reale, tanto che ancora oggi forse non si è verificata compiutamente.
In questo scambio reciproco, prima in una direzione poi nell’altra, tra i luoghi dell’abitare più stabile e quelli di un abitare più temporaneo, di un abitare cioè atopico e solitamente legato al viaggio e al movimento, con l’approfondimento delle singole specificità delle tipologie di mezzi di trasporto, alcuni si affrancano totalmente da similitudini e affinità con la cultura del domestico mentre altri invece perfezionano relazioni e connessioni proprie di un diverso modo di abitare, definibile “difficile”, di spazi minimi quanto atipici ma pur sempre connotati da un certo grado di domesticità e confort.
Parametri che entrano in gioco in questa separazione sono soprattutto quello temporale e quello dimensionale. La durata della permanenza nel veicolo e la dimensione dello stesso portano naturalmente automobili, treni e aereoplani verso un’abitabilità ridotta e a un grado limitato ed essenziale di socializzazione e relazione tra gli occupanti lo spazio, mentre navi e natanti, roulotte e camper, tornano, visti anche i cambiamenti in atto nello spazio domestico contemporaneo, a confrontarsi da vicino con le soluzioni proposte dall’architettura.
Spesso imbarcazioni e roulotte guardano alla casa per proporsi come spazi più accoglienti, a partire dai principi insediativi maggiormente stabili e definitivi così come, analogamente, piccole abitazioni, residence, camere d’albergo o case per vacanza guardano alla flessibilità e alla compattezza di alcune soluzioni di yacht e camper come un possibile riferimento per risolvere, con efficacia e in poco spazio, tutte le essenziali necessità del vivere quotidiano.
Se in linea di principio queste ricerche parallele sono auspicabili, nella sostanza è da evitare il travaso banale di soluzioni che, una volta deprivate del loro contenuto, appaiono fuori luogo nel contesto in cui vengono trasportate. Troppo spesso la ricerca del lusso o, all’opposto, dell’essenziale, finisce per trasformare le navi da crociera in vecchi grand hotel dall’aria decadente sommersi da orpelli inutili, ovvero lo spazio di mini-appartamenti in una asettica dispensa di un transatlantico.
Entrando nello specifico delle imbarcazioni da diporto, va detto che una certa separazione a volte percepibile tra interno e esterno, cioè tra le scelte proprie dello scafo e il disegno delle cabine, è attribuibile ad un’inerzia, per così dire, dell’innovazione tecnologica e dell’avvento di nuovi materiali che si limitano alle parti ritenute più di loro competenza e, abbandonando qualsivoglia coerenza tipologica e strutturale tra lo scafo e le sue finiture interne, rinunciano, in definitiva, a rileggere le soluzioni dell’interno, proprie della tradizione, in chiave contemporanea. I nuovi materiali, le plastiche, i materiali composti, le fibre artificiali, nel trovare una immediata ragion d’essere nelle parti esterne o più propriamente strutturali, non sempre riescono a trovare una idonea declinazione nella conformazione degli spazi destinati alla definizione di un ambiente atto ad accogliere l’uomo. Sembra quasi che l’interno per essere più tranquillizzante, o genericamente riconoscibile come tale, debba rinunciare a qualsiasi rinnovamento formale e ridursi a riproporre soluzioni proprie di un patrimonio concepito per altri luoghi, per altre situazioni o per altri materiali. Tale fusione, o più semplicemente coerenza e contiguità tra scelte tecniche e formali, appare invece in parte riuscita nel caso delle altre tipologie di mezzi di trasporto, come auto e aerei, dove la sperimentazione di linguaggi derivanti dall’uso di nuovi materiali e tecnologie dà vita a forme e modalità d’uso finalmente rinnovate. Oggi anche le auto di maggiore lusso rinunciano all’inserimento di parti in radica o in pelle e propongono, come sinonimo di qualità, tessuti sintetici ad alte prestazioni, materiali come l’alluminio, il plexiglass, le fibre di vetro e di carbonio, le plastiche di ultima generazione. Quello che è mancato nella definizione dei luoghi da abitare minimi propri dei mezzi di trasporto è stato il contributo di una progettazione dell’interno intesa come momento di definizione e conformazione degli ambienti dove l’uomo vive. Il progetto dell’interno e il disegno dei sistemi arredativi non sono infatti un problema di forma degli oggetti, ma rappresentano prima di tutto l’opportunità di rendere idoneo a l’uomo il suo habitat.
Nel caso di imbarcazioni da diporto infatti non si è difronte solo a un “mezzo di trasporto”, lo yacht non è solo un apparato per muoversi sul mare ma è soprattutto una “casa viaggiante” sull’acqua, dove l’essere casa significa riuscire ad adattare le necessità di confort, riparo e accoglienza in un mezzo capace di muoversi e, per giunta, su una natura liquida del tutto differente da quella che normalmente l’uomo è capace di calcare con le sole proprie forze.
E’ per questo che oggi una istanza diffusa del consumo e il mercato cominciano ad auspicare una concreta e idonea trasformazione tesa ad adeguare gli interni delle imbarcazioni a necessità più sofisticate. In un mondo dove domina la comunicazione e dove la cultura dell’immagine è utilizzata tanto dai media quanto dall’arte, quanto dallo spettacolo, non è possibile più assistere alla trasposizione di forme senza precisi contenuti dalla casa verso le barche rischiando di ottenere esiti del tutto oleografici. Esiste l’esigenza di realizzare uno stile di vita in tali spazi, rinnovate qualità estetiche e capacità espressive che indichino chiaramente il loro carattere, l’essere cioè luoghi ridotti e minimi da abitare, ma con grandi qualità e soprattutto integrati con l’esperienza della natura, del mare, della velocità, del viaggiare, del conoscere. Al di là di ogni slogan retorico, uno yacth è davvero una macchina da abitare in tutti i sensi di tale espressione e, compito di chi li progetta, è quello di offrire, di pari passo con l’estrema e sofisticata innovazione tecnica e ingegneristica, anche un “modo di vivere” il viaggio, di essere sul mare, di controllo della tecnica e di uso dello spazio quale espressione e contenuto stesso delle scelte operate dall’uomo.
(pg_2006)

21 novembre 2011

Città in scatola


Molto spesso una certa letteratura, comunemente definita “fantascienza”, ha così crudamente osservato i comportamenti e i desideri dell'uomo, da tratteggiarne il profilo più vero e privo di giustificazioni culturali o morali. Col pretesto di guardare il futuro i grandi autori del genere hanno in realtà descritto il loro presente, i vizi e le ambizioni e, senza alcuna retorica, hanno provato a immaginare le possibili conseguenze dei più intimi desideri ed aspirazioni della loro società. Non privi, a volte, di un certo catastrofismo, scevri da ogni utopia – anche se può apparire contraddittorio – hanno usato l'immagine del futuro come un tagliente giudizio sulle derive già in essere nell'attualità. Inutile verificare a posteriori i loro presagi, in quanto, loro intento è comprendere la contemporaneità, pur se attraverso uno specchio deformante e fantasioso, più per ammonire circa l'avvento di possibili futuri che per proporli.
Per questo, rispetto al tema degli edifici collettivi ad uso residenziale, è impossibile non correre con la memoria ad uno dei più famosi racconti di J. G. Ballard1 incentrato proprio sulle dinamiche sociali scatenate all'interno di un innovativo condominio, parte di un ambizioso intervento di sviluppo di una città2.
Un grattacielo, come quello del romanzo, non è solo una "grande" architettura, esemplificativa di soluzioni strutturali, distributive, linguistiche e stilistiche proprie di un edificio di rilevante scala, ma è invece la vera impalcatura che unisce, e separa, un frammento complesso di umanità. Edificio che non prende la forma di una torre qualsiasi, ma di una vera e propria piramide sociale, ben definita nei rapporti e nella gerarchie, nei servizi e nelle opportunità.
Un condominio3 è quindi una aggregazione complessa di proprietà private connesse da parti comuni o pubbliche e, l'idea sociale rispondente a tali esigenze, è quella della condivisione più che dell'intimità. Un edificio siffatto, qualunque sia la sua dimensione, localizzazione o morfologia, mette in contatto le esigenze e le aspirazioni di individui distinti, vive al suo interno dinamiche paragonabili a quelle di una intera città, innescando relazioni, e a volte anche conflitti, propri di determinate compagini sociali.
Come la forma urbana è dettata da legami associativi e assistenziali, espressione gerarchica della vita privata e delle esigenze collettive, analogamente un condominio pone in essere, in misura ridotta, le stesse relazioni, pur se alla scala dell'architettura.
Gli edifici residenziali plurifamiliari, quando non sono la banale aggregazione di appartamenti senza alcuna forma significante, se non lo sfruttamento intensivo dello spazio, sono l'espressione di una idea di collettività, articolata intorno a percorsi e a spazi che ne rappresentano la ragione stessa; esemplificazione del rapporto che si instaura tra vita privata e partecipazione pubblica, tra riservatezza e condivisione, tra indipendenza e responsabilità.
Rispetto alla città, i grandi blocchi residenziali hanno, nel tempo, interpretato diversi ruoli, esemplificabili in due modalità principali: o come parti di un tutto, componenti di un tessuto connettivo dove le singolarità partecipano in maniera corale; ovvero come individualità, dal forte carattere, calate in un territorio caratterizzato da relazioni più che da trame.
Appartengono a questa seconda logica, ad esempio, le Unité d'Habitation4 proposte da Le Corbusier che, infatti, non sono solo edifici complessi e polifunzionali, ma sono parte di una innovativa idea di spazio antropizzato, enunciato a partire dal progetto della Ville Radieuse5, in cui il dissolvimento dello spazio urbano, così come storicamente concepito, non passa attraverso l'annullamento delle relazioni umane quanto, piuttosto, nella distruzione dei legami consolidati tra densità e distribuzione, tra forma del territorio e dimensione dell'architettura.
Allo stesso modo le idee degli Archigram6, proprio a partire dal rapporto tra la singola cellula abitativa e le sue possibili aggregazioni, cercano di suggerire forme inedite di città, inconsuete quanto a volte "instabili", basate su relazioni sociali sostanziali e non formali, su rapporti e convergenze esistenziali in grado anche di offrire una nuova idea di spazio pubblico, una nuova forma espressiva di collettività7.
Per questo, non è una forzatura teorica vedere nello schema compositivo di un sistema di aggregazione di unità abitative, non solo la soluzione dei bisogni dei singoli, ma anche la realizzazione di una idea capace di dare forma allo "stare insieme", di restituire un significato alla condivisione dell'ambiente in cui si vive.
Considerare i corridoi come strade interne, gli androni e i pianerottoli come piazze, le terrazze come belvederi, i porticati come stoá, significa provare a elevare gli elementi distributivi di una architettura a parti significanti di un vivere pubblico. La città attuale, infatti, non è più solo quella progettata, è ormai un sistema complesso di relazioni e scambi, a volte immateriali, comunque disgregati e diffusi, incapaci di restituire una forma ed un linguaggio precisi. Per questo la contemporanea labilità dei confini disciplinari, come anche di definizioni pertinenti e assolute, fa sì che il progetto di una sola architettura possa innescare una più ampia riflessione sui legami e sulle dinamiche propri della società contemporanea.
Sinteticamente, infine, è possibile individuare alcune caratteristiche utili alla definizione di tali edifici: ripetizione, identità, percezione, partecipazione, efficienza, libertà.
La ripetizione è un valore negativo quando rappresenta l'interpretazione banale di un impianto reiterato senza criterio se non quello funzionale, creando nell'uomo disagio e perdita di comprensione dei luoghi che abita. Essa diventa, invece, positiva quando si intende come estensione dei principi del domestico, dei valori del privato, a tutto l'insieme, quando cioè si è in grado di evitare la replica formale a favore della moltiplicazione dei contenuti.
La percezione è un valore che va visto nel duplice aspetto “interno” ed “esterno”. La leggibilità dall'esterno implica la riconoscibilità, l'identità, del proprio habitat oltre che la comunicazione di quello che si è. La percezione dallo spazio privato dell'ambiente circostante comporta invece una gerarchia di significati tesi a filtrare e guidare la comprensione del mondo.
La partecipazione rende l'uomo protagonista delle ragioni che soggiacciono al passaggio tra la città e lo spazio domestico, tra l'esterno e l'interno, tra il modo di vivere il pubblico e quello di costruire il proprio privato. Un rapporto fatto di compromissioni con l'intorno, che analizza e definisce il flusso di stimoli e contatti, tracciando il confine invalicabile dell'intimità.
L'efficienza, non intesa come efficienza di prestazioni, è l'esigenza di integrare i propri bisogni primari ad altri di tipo collettivo. E' quindi la possibilità di contaminare l'intimità con relazioni misurate e mirate, tese a creare una rete di connessioni e di scambi, non ancora del tutto pubblica, ma tuttavia non più esclusivamente privata. Esigenze proprie della vita odierna in cui alcune azioni, non sono dovute o obbligate, ma sono “scelte” e attuano il personale stile di vita.
Infine la libertà, intesa come capacità di suggerire e non di imporre, evitando di risolvere in forma stabile, lasciando piuttosto infiniti gradi di scoperta e di invenzione nella fruizione degli spazi, nel modo di usare gli interni, di scegliere i percorsi, nella caratterizzazione degli ambienti e nella flessibilità dei componenti che li realizzano.
Per far questo non c'è bisogno di proiezioni nel futuro, di immaginare l'inimmaginabile, ma solo di restituire all'architettura il suo storico compito, di dare forma, criticamente, ai sogni dell'uomo.
1 James Graham Ballard, Shanghai, 1930 - Shepperton, 2009
2 J.G. Ballard, High-Rise, London 1975, trad. it. Il condominio, Milano 2003
3La parola condominio etimologicamente deriva dal latino con – insieme e dominium – dominio. Il condominio è quindi il “diritto di dominio” da esercitare o esercitato insieme ad altri. E' evidente quindi che la somma di indentità si traduce naturalmente in una forma di controllo o addirittura di dominio delle libertà altrui.
4Le Corbusier sperimenta la sua idea di Unité d'Habitation attraverso varie realizzazioni, leggermente diverse tra loro, nell'arco di sedici anni: 1946 Marsiglia, 1952 Nantes – Rezé, 1957 Briey en Forêt, 1957 Meaux, 1957 Berlino, 1962 Firminy.
5La Ville Radieuse (1933) è per Le Corbusier la città di domani, dove sarà ristabilito il rapporto uomo-natura!
6Gli Archigram pubblicano nel 1961 una brochure con cui diffondono le loro idee. I principali membri del gruppo sono stati Peter Cook, Warren Chalk, Ron Herron, Mike Webb e David Greene.
7Vedi in particolare i progetti: Plug-in-City, Peter Cook, 1964; The Walking City, Ron Herron, 1964; Instant City, Ron Herron, 1970.

Il progetto immateriale


Dire "vetro" significa parlare delle sue qualità. Prima di tutte la trasparenza, peculiarità quasi magica, per la quale un materiale si lascia trapassare dallo sguardo, per cui un elemento racchiude o separa senza interrompere la percezione di ciò che è posto oltre. Poi il processo realizzativo, che vede tale materiale passare dallo stato liquido ad uno viscoso plasmabile e poi alla consistenza finale solida, eppure così eterea, fragile e preziosa. Processo che, grazie a sapienze artigianali antiche, permette di ottenere le forme più diverse, assecondando immaginazione e creatività.
Parlare del vetro significa trattare della luce, che ne muta la sostanza, che ne riflette i contenuti, che ne disegna, in maniera imperfetta, limiti e profili.
In architettura, nel progetto di interni e nel design, il vetro è scelto proprio grazie a tali peculiari caratteristiche, che permettono di manipolare il senso dell'abitare e la consistenza stessa delle cose.
Una struttura di vetro può infatti essere considerata uno spazio concluso dal punto di vista fisico ma, lasciando inalterato il rapporto visivo con l'intorno, realizza una condizione psicologica che altera, anzi inverte, i valori stessi dell'interno.
Simile è il rapporto con gli oggetti, i complementi di arredo e le finiture che l'uomo decide di costruire in vetro. Se le "cose" si presentano all'uomo attraverso la loro forma e il loro aspetto materiale, un prodotto in vetro invece appare immateriale, impalpabile, quasi privo di consistenza fisica. Un oggetto in vetro non si limita ad esprimere le proprie peculiarità cromatiche o di trattamento delle superfici, esso include altro, prevede la partecipazione di ciò che contiene, che lascia filtrare, che permette di intravedere. Non è quindi un oggetto “finito” ma un attrattore di ulteriori situazioni o elementi che ne completano il significato. La luce per una lampada, il liquido per una bottiglia, i fiori per un vaso, non sono semplicemente ciò che quell'oggetto può accogliere, ma sono parte integrante del progetto del vetro, sono elementi che ne completano il significato e che quindi sono previsti fin dalla fase ideativa.
In tal senso il design del vetro è la messa in scena di relazioni tra materie diverse, è la predisposizione di eventi fatti di luce artificiale e naturale, di riflessi, di colori che vanno a proiettarsi su altri materiali, in un caleidoscopio infinito di forme ed arcobaleni.
Progettare il vetro non significa definire una morfologia stabile, quanto piuttosto prevederne un ruolo mutevole, spesso di regista, tra le altre cose e nello spazio di vita dell'uomo. Significa non immaginarlo per quello che è, ma per quello che è in grado di “fare”.
Forse proprio per queste suggestioni il vetro è, nella contemporaneità, usato anche per dar vita ad oggetti che storicamente non lo contemplano: poltrone, sedie ma anche tavoli e mobili, per non parlare di scale, parapetti o soffitti. Tecniche raffinate oggi permettono di dotarsi di simili componenti quasi immateriali, capaci tuttavia di dialogare con la fisicità degli utenti. Fantasmi che si fanno toccare e usare. Esperienze che innescano un gioco di stupore e di spaesamento, di emozione e di partecipazione imprevista e che offrono ulteriori potenzialità ad un materiale sempre vivo e presente nella storia dell'abitare.

02 novembre 2011

La materia dello spazio


Lo spazio in architettura è un vuoto, non è quindi una “cosa”, non è fatto di un materiale. Dai materiali e dalle cose è però definito, dall'involucro che lo contiene prende forma e sostanza espressiva. Parlare di materiali da costruzione quindi non significa solo riferirsi alla fisicità delle parti che strutturano il manufatto (il contenitore) ma anche alla caratterizzazione dello spazio (il contenuto) che da tali materiali riceve il carattere e l'atmosfera e dalle strutture la morfologia e la proporzione.
I nuovi materiali quindi hanno sempre offerto alle architetture originali opportunità di conformazione e definizione dello spazio interiore ma, a volte, ed in particolare nella contemporaneità, è anche accaduto che le aspettative di nuove modalità di vivere e di organizzare lo spazio abbiano influenzato la ricerca sui materiali, spingendo verso l'uso di soluzioni tecnologiche, di materie e di componenti, provenienti talvolta da altri settori della ricerca e dell'espressività.

I materiali determinano lo spazio
La Storia dell'Architettura, ed in particolare di quella Moderna, vede una diretta conseguenza tra l'evoluzione degli interni, l'organizzazione degli ambienti e l'innovazione tecnologica.
Il caso del cemento armato è, da questo punto di vista, esemplare in quanto mezzo per giungere a spazi fluidi e continui in grado di sconvolgere l'impostazione tradizionale degli ambienti domestici e pubblici.
Lo spazio interno, grazie alla struttura discreta, ha potuto indagare originali relazioni tra le parti vissute dall'uomo, tra l'interno e l'esterno, rinnovando il senso stesso dei luoghi da abitare.
Non solo a livello morfologico, ma anche nei confronti della capacità espressiva di un materiale artificiale, pensato e disegnato dall'uomo, tuttavia in grado di reinterpretare storie e sensi antichi. Maestri come Le Corbusier, Perret e Garnier, con tale materiale, hanno definito il linguaggio con cui il Movimento Moderno ha potuto manifestare la sua carica innovativa.
Analogamente la struttura in acciaio, si pensi all'opera di Mies van der Rohe, ha permesso di promuovere l'idea di uno spazio continuo e privo di margini, indeterminato tra natura e artificio, tra aperto e chiuso, tra privato e collettivo. L'annullamento del confine – grazie anche all'uso di ampie vetrate – ha permesso di giungere a valori dell'interno che fanno esplicito riferimento ai sensi di protezione e di intimità e che coinvolgono quindi la sfera psicologica dell'uomo.
Allo stesso modo le materie plastiche e composite, a partire dagli anni '60, negli interni domestici e nel disegno degli oggetti di arredo, hanno materializzato forme e ambiti come quelli concepiti da Joe Colombo in Italia, o dagli Archigram in Gran Bretagna; pazi quasi primari, del tutto avvolgenti e disegnati “su misura” sulla fisicità dell'uomo.

Lo spazio scopre i materiali
Nella contemporaneità la presenza di molteplici soluzioni tecniche e di dettaglio offerte dal mercato non ha determinato una modificazione diretta o una evoluzione dello spazio abitato. E' accaduto piuttosto il contrario, e cioè che le necessità dell'uomo, le sue aspettative ed esigenze, il suo desiderio di rappresentarsi o di comunicare il proprio pensiero, abbia costretto a sperimentare soluzioni e finiture finalmente capaci di adeguarsi ai suoi bisogni in continuo cambiamento.
In particolare l'influenza nella vita di ogni giorno della sfera immateriale con cui l'uomo interagisce, di mondi virtuali e intangibili che invece rispondono ad esigenze funzionali precise, ha portato a pretendere dallo spazio fisico, prestazioni veloci, essenziali e precise, quali la flessibilità e la fluidità, la possibilità di personalizzare e di cambiare, la temporaneità e la plurifunzionalità.
Per questo l'architettura ed il design hanno guardato a materiali e soluzioni tecniche provenienti da settori fortemente specializzati – illuminotecnica, domotica, elettronica – ovvero da altri campi dell'industria e della ricerca – programmazione, web design, informatica – fino a settori non direttamente coinvolti nella progettazione architettonica quali la moda, l'arte, la pubblicità, il cinema, la comunicazione. La “spettacolarizzazione” dello spazio e la possibilità di interagire direttamente con esso, di influenzarlo e di variarlo, ha dato vita a ricerche su nuovi materiali e soprattutto sulla possibilità di intervenire su di essi in fase di progettazione.
Oggi in definitiva sono i materiali ad inseguire il senso dello spazio, si può arrivare paradossalmente a dire che è lo spazio che inventa i materiali necessari a rispondere alle richieste della società. Questo, se altera la logica tradizionale del mestiere del progettista, ottiene comunque un risultato, che è quello di riportare in primo piano la figura dell'uomo, e di pensare ad una architettura capace di dare vita ai suoi sogni.