cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

01 marzo 2010

Narrare con l'architettura. La forma dell'amore

Le case di Diego Rivera e Frida Kahlo

Juan O'Gorman, progettista della casa-studio di Diego Rivera e Frida Kahlo a San Angel a Città del Messico, disse, a proposito della sua opera, che “la casa fece molto scalpore perché mai fino ad allora si era vista in Messico una costruzione la cui forma derivasse totalmente dalla funzione”.
La piena adesione ai principi dell'architettura funzionalista - la forma segue la funzione - furono più volte dichiarati pubblicamente dall'architetto messicano che, in maniera ancora più esplicita, affermò che “l'architettura risponde alle necessità del momento con la tecnologia adeguata e la massima economia”. Naturale impostazione “razionalista” per un architetto formatosi negli anni venti - anni in cui fu pubblicato in Messico “Vers une Architecture” di Le Corbusier - impostazione che, secondo Diego Rivera, era segno di una chiara vena artistica, e che lo convinse a commissionargli la casa studio per lui e Frida in quanto “una cosa realizzata strettamente su criteri funzionali è anche un’opera d’arte”.
Eppure oggi, dopo che il tempo e le vite di vari personaggi hanno scritto la trama affascinante e complessa di uno dei periodi più importanti della recente storia messicana, è possibile affermare che l'architettura costruita da O’Gorman è andata oltre le sue stesse premesse, che il progetto cioè non si è limitato ad essere solo “forma della funzione”, espressione diretta delle nuove tecnologie e della loro corretta applicazione, e che il manufatto è diventato esso stesso forma del contenuto, segno estremo di sintesi tra significato e significante.
La casa di Diego e Frida infatti non è la semplice rappresentazione della funzione domestica e artistica dei due, ma è altresì il racconto, la materializzazione delle loro vite, della loro unione, del loro amore. Esito che travalica le intenzioni dichiarate dell'architetto ma non estraneo alla sensibilità e alla profondità con cui egli seppe rispondere, a soli 26 anni e con l'esperienza di una sola architettura realizzata, alle richieste di due dei più grandi artisti del suo paese.
O'Gorman ha la consapevolezza del suo compito sin dall'inizio, non a caso definisce pubblicamente Rivera colui che “sapeva insegnare ai Messicani cosa fosse il Messico”. Malgrado ciò, per realizzare la sua dimora, non immagina qualcosa di “tradizionale o vernacolare” bensì declina, estremizzandoli, i principi dell’architettura razionale, andando oltre le soluzioni tecnologiche adottate da Le Corbusier per casa Ozenfant dieci anni prima - casa per un artista che è il naturale riferimento per il giovane architetto messicano - e introducendo in maniera originale, quanto rivoluzionaria, elementi propri di quella cultura autoctona, di quella coscienza popolare di cui il grande pittore era interprete.


La casa realizzata in un lotto all’angolo tra calle de Palmas e avenida Altavista, progettata nel 1931 e terminata nell’anno successivo, in realtà sono due case-studio tra loro unite: una più grande e possente destinata a Diego, di 21 anni più grande di Frida e dalla corporatura massiccia e imponente, e l'altra più piccola, si direbbe quasi minuta e fragile, come era la natura di Frida, unita alla prima solo da un ponte alla quota del solaio di copertura, percorso evidentemente più simbolico che funzionale. Lo studio di Diego, a doppia altezza, è aperto solo verso nord, dove la luce è quella giusta per l'atelier del pittore, attraverso un'enorme parete vetrata inclinata che prospetta sul retro del lotto, lontano dalla strada e dalla confusione; lo spazio di lavoro di Frida invece è aperto su tre lati, la luce può entrare a qualsiasi ora del giorno, dallo studio si può guardare verso l'esterno e modulare la privacy e l’intensità luminosa attraverso tende disposte lungo tutto il perimetro. Le differenze tra le due parti della casa sono evidenti, finanche le scale, pur entro linguaggi e soluzioni stilistiche proprie del Movimento Moderno, sono ispirate una alla solidità e l'altra alla leggerezza, quasi all'inconsistenza materica e alla imprevedibilità del percorso. Così come le vite dei due protagonisti, una diretta, volitiva, senza deviazioni e l'altra spezzata costantemente dal dolore, dagli incidenti, dalle malattie.
Il ponte è la sottolineatura poetica di due vite che per essere unite devono essere separate, indipendenti, il ponte non è un collegamento diretto, è un percorso articolato frutto di una scelta lunga e ponderata: bisogna salire attraverso scale esterne fino al terrazzo, passare da un corpo all'altro esposti al sole o alle intemperie e giungere finalmente, riscendendo lentamente, negli spazi del quotidiano dell'altro. Per il resto il linguaggio purista e le forme stereometriche ed austere ben si predispongono ad accogliere le opere della coppia, ricche di colori e figure reali e mitiche, gli oggetti della tradizione e i ricordi dei loro viaggi, al punto che l'architetto, a differenza del linguaggio dello “stile internazionale”, rinuncia al bianco come colore predominante e utilizza, per le due dimore, il rosso e il blu, colori propri della tradizione vernacolare messicana. Non solo, a fronte di soluzioni tecniche essenziali al limite del “brutalismo” - impianti elettrici e idraulici a vista, cisterne e grondaie esterne - O'Gorman perimetra il lotto con una recinzione in cactus ottenendo un contrasto evidente tra la casa, intesa come “macchina da abitare”, e lo spazio urbano da cui si separa attraverso una “natura locale” addomesticata e riutilizzata.
La casa è anche scena della dolorosa separazione tra i due artisti. Frida viene a conoscenza di una relazione tra sua sorella e Diego e abbandona per sempre San Angel. E’ il 1934, solo nel 1940, dopo aver ottenuto il divorzio, i due si sposano nuovamente e dal 1941, anno della morte del padre di Frida, la coppia va a vivere nella casa natale di Frida, la casa Azul a Coyoacán.
Casa Azul è una tradizionale casa di Città del Messico, realizzata nel 1904 da Guillermo Kahlo e lentamente modificata nel tempo per adattarsi alle esigenze familiari.


Quando Frida torna a Coyoacán con l'intenzione di stabilirsi definitivamente, Diego, di nuovo suo marito, attua delle modifiche all'impianto originale con l'intenzione, ancora una volta, di dare forma sia alle esigenze pratiche di una vita di coppia rispettosa delle necessità personali di autonomia, che di esprimere, attraverso la casa, i loro interessi comuni, le passioni per l'arte, l'archeologia e la cultura tradizionale. La casa viene decorata con elementi appartenenti alla cultura popolare, dotata di nuovi spazi per lo studio di Frida e per una camera da letto autonoma, realizzati con strutture in pietra vulcanica del Pedregal lasciata a vista. Il giardino inoltre fu arricchito di una fontana e di una piccola piramide a gradoni per l'esposizione di idoli precolombiani e un locale per conservare i reperti archeologici.
Due case quindi, entrambe espressione di legami affettivi e di scelte di vita più che di esigenze pratiche. In entrambe il linguaggio non è “stile” ma è il mezzo per raccontare una storia, la narrazione della vita di due artisti, la burrascosa avventura di un amore speso sullo sfondo di cambiamenti epocali, tra personaggi e artisti che hanno scritto la Storia - Trotsky, Breton, Gershwin, Eisenstein -, tra opere che ancora oggi raccontano di impegno sociale, passione politica, fede nell'arte.
Frida muore tra le mura colorate della sua casa paterna il 1954, tre anni dopo Diego Rivera, prima di morire, dona Casa Azul alla nazione messicana che la trasforma nel museo permanente di Frida Kahlo.

Spazi in evoluzione. L'instabile forma dell'abitare

Tra immagini di biplani e triplani, automobili, transatlantici, motori e turbine, alternate a foto del Pantheon e del Partenone, Le Corbusier scrive tra il 1920 e il 1921, nelle pagine di Verso una Architettura, che “la casa è una macchina da abitare”. Il rivoluzionario testo di Le Corbusier, in sintonia con lo spirito rivoluzionario del suo tempo, stabilisce in realtà un punto dal quale non è più possibile tornare indietro: è l'inizio del moderno.
Molteplici sono le conseguenze di tali riflessioni critiche e programmatiche ma, per quello che interessa la nostra breve trattazione incentrata sull'abitare, lo spazio interno dell'architettura e gli oggetti che lo animano, lo slogan in cui la casa viene definita una macchina, uno strumento da usare per abitare, rappresenta una svolta rispetto al passato, relativamente alla consuetudine di costruire spazi indistinti da riempire con oggetti capaci di determinarne, di volta in volta, la destinazione e l'uso.
La casa va abitata, e dare forma all'abitare significa inseguire le innumerevoli esigenze pratiche ed emozionali, fisiche e psicologiche, le ragioni cioè per le quali l'uomo sceglie di insediarsi in un determinato luogo, eleggendolo a proprio rifugio.
Le cabine delle navi da crociera e dei treni, gli abitacoli delle automobili e degli aeroplani, diventano, all'inizio del secolo scorso, un esempio di spazio minimo “confortevole, essenziale e funzionante”, ambito non solo “utile” e idoneo all'uso, ma in cui vedere riproposte condizioni di accoglienza proporzionate al tempo di permanenza e alle azioni secondarie che vi si possono svolgere. Misura, funzionalità, adattabilità si coniugano con eleganza, stile e cura del dettaglio, proponendo in maniera diretta, perché necessari, nuovi criteri di flessibilità e trasformabilità degli oggetti, degli arredi, delle suppellettili, che accompagnano l'uomo nelle sue innumerevoli esigenze. L'emozione per una condizione nuova - il viaggio - viene confortata da modalità insediative riconoscibili che però si adeguano al nuovo stato temporaneo.
Le componenti arredative vengono usate e si adattano alle scelte del fruitore, non più imponendo, determinando o costringendo a comportamenti codificati e standardizzati. Sarebbe riduttivo affermare che questo significhi passare da una condizione statica ad una dinamica dell'uso dello spazio interno, in realtà l'idea di adattabilità degli interni e degli oggetti segna il passaggio da una visione contemplativa del paesaggio interiore ad una partecipativa, ad una maturità esistenziale, tesa a disegnare, momento per momento, la forma stessa del proprio quotidiano, a delineare, in progress, il carattere dei luoghi domestici.
Un esempio concreto di “macchina da abitare”, di luogo in cui ogni spazio, ogni oggetto, ogni strumento, ogni complemento di arredo e elemento di finitura edilizio è suscettibile di variazioni capaci di assecondare scelte mutevoli è la Maison de Verre, costruita tra il 1928 e il 1932, da Pierre Chareau a Parigi. In questa casa non sono più i mobili, in senso tradizionale, a caratterizzare gli interni e a specificarne l'uso, sia perché i mobili non sono più statici e univoci nelle loro funzioni e disposizioni, sia perché gli ambienti non sono definiti, conformati e perimetrati e soprattutto perché non è individuato un solo modo di usare gli spazi che infatti si rendono disponibili a diverse interpretazioni e declinazioni.
La flessibilità diviene la chiave per interpretare ogni ambito, ogni oggetto, ogni elemento strutturale. E' evidente che il cambiamento non è solo pratico o funzionale ma è sostanziale, nel senso che ciò che viene proposto da Chareau è un nuovo stile di vita, non codificato, non rappresentabile in modo univoco, ma dinamico e in evoluzione, trasformabile e rinnovabile. La casa - con le sue pareti scorrevoli, scale retrattili, mobili rotanti - è uno strumento da usare, il che impone che il fruitore sia protagonista, compia le sue scelte, e le rappresenti nella forma dinamica del proprio habitat.
Tale percorso metodologico e progettuale trova pieno compimento trenta anni dopo, all'inizio degli anni '60, con i progetti e le ricerche di Joe Colombo. Sono gli anni in cui arredi e oggetti finalmente, grazie a nuovi materiali e tecnologie e a nuove sensibilità estetiche, trovano una forma inedita che rinuncia a riferimenti linguistici e tipologici assimilabili alla tradizione, e assumono quindi configurazioni coerenti con la loro instabile e mutevole funzione, facendo della variabilità la loro cifra stilistica e morfologica. Non solo, è con la nascita del macroggetto, cioè di mobili polifunzionali e sintetici, che la rivoluzione dello spazio domestico si compie pienamente annullando la disposizione e la gerarchia tipica degli arredi della tradizione, liberando le pareti perimetrali e occupando - qualificandolo e definendolo - lo spazio degli ambienti, determinando il senso dei luoghi domestici attraverso criteri di trasformabilità e mobilità, adattamento e crescita organica e modulare.
Dopo la parentesi degli anni '70 e '80 in cui la ricerca di linguaggi opera prevalentemente su nuovi stili e sulla riconoscibilità, reintroducendo tipologie tradizionali di spazi e arredi, la contemporaneità torna a riflettere sulla polifunzionalità come elemento distintivo degli spazi domestici sia a causa dell'estrema riduzione dimensionale, sia della sovrapposizione di funzioni pubbliche e private, sia per l'affermazione di stili di vita non stanziali.
La casa, le sue strutture e finiture, così come i sistemi arredativi e l'insieme degli oggetti che animano la scena domestica, assecondano l'esigenza di declinare con poche parole contenuti in continua evoluzione del tutto imprevedibili.
Se è servito quasi un secolo per portare la casa e i suoi spazi alle stesse prestazioni fisiche e psicologiche delle prime rivoluzionarie innovazioni tecnologiche (navi, aerei, auto) la sfida dei nostri giorni è quella di ispirarsi – adeguandosi - alla immaterialità e alla miniaturizzazione dell'elettronica e dell'informatica che hanno dimostrato l'esistenza di altre dimensioni in cui “viaggiare o navigare” e che, verosimilmente, influenzeranno la vita dell'uomo al punto di plasmare i suoi spazi più intimi, fino a ridisegnare del tutto il suo rifugio personale.


Paolo Giardiello