cos'è architettura & co.

architettura & co. è stato pensato da paolo giardiello per mettere a disposizione di tutti, in particolare dei suoi studenti, i propri scritti, ricerche e riflessioni sull'architettura. il blog contiene testi pubblicati, versioni integrali di saggi poi ridotti per motivi editoriali, scritti inediti o anche solo riflessioni e spunti di ricerche. per questo non ha un ordine determinato, non segue un filo logico, ma rappresenta solo la sequenza temporale di occasioni in cui parlare di architettura, prima di farla "parlare", come invece dovrebbe, normalmente, essere.

14 luglio 2009

L’architettura invisibile


Il fine dell’architettura è quello di costruire spazi idonei allo svolgimento della vita dell’uomo. Attraverso la consistenza fisica e materica delle strutture l'architetto, in realtà, progetta e realizza lo spazio interno.
L’architettura, da un punto di vista strettamente teorico, è un'unità inscindibile di involucro e invaso, per cui, generalmente, non c’è spazio senza il contenitore che lo delimita né, tantomeno, è immaginabile un sistema strutturante senza la parte racchiusa destinata alle attività umane.
Anche secondo la teoria semiologica applicate all'architettura, il segno architettonico, capace di esprimere e comunicare sinteticamente il proprio contenuto, è determinato da un significato - il suo spazio interno - e da un significante - l’involucro che fisicamente lo determina – tra loro interdipendenti.
L’interno fruibile è quindi la ragion d’essere dell’architettura e la struttura che lo individua diviene la forma costruita, essenza tridimensionale che racchiude e rende fisicamente percepibile il senso della costruzione dello spazio. Spazio a cui l’uomo attribuisce valori, contenuti, riconoscendogli elementi distintivi e caratteristici, in cui individua possibilità di vita: spazio a cui l’uomo assegna un significato e tramite il quale è in grado di raccontare agli altri ciò “che è” e ciò in cui crede.
Lo spazio architettonico, definito dall’involucro che gli restituisce forma e dimensione, è inoltre da questo caratterizzato e determinato nella sua natura espressiva. Sono infatti i margini perimetrali, le figure che caratterizzano tali margini, i trattamenti materici e superficiali, gli apparati decorativi delle superfici delimitanti che definiscono il contenuto semantico dello spazio, la natura dell'interno. Il senso, proprio dello spazio, si materializza attraverso il fitto dialogo che l’interno instaura con i propri limiti fisici.
Nella realtà la prassi sperimentale dimostra che esistono anche esperienze progettuali in cui l'unicità del segno architettonico, composto dalla sua parte materica delimitante e da quella immateriale fruibile, è spesso messo in discussione nel tentativo di esaltare ora le specificità della struttura, ora quelle dello spazio.
Rispetto alla determinazione del significato dell'architettura, indubbiamente coincidente con i valori spaziali messi in essere, è indubbio che una costruzione priva di spazio interno non è correttamente definibile “architettura”: la sua forma, la sua presenza per quanto possa dialogare e arricchire lo spazio della natura o i luoghi urbani, si limita alla capacità di raccontarsi solo attraverso la sua forma esteriore, diviene espressione artistica, monumento. Si tratta di casi limite, di difficile collocazione teorica, quali le strutture commemorative o celebrative, i monumenti funebri e i mausolei, il cui spazio interno è in pratica inaccessibile e che, quindi, entrano in contatto con l’uomo solo per il loro portato simbolico esteriore.
All'estremo opposto esistono casi in cui lo spazio, pur sempre definito e individuato, esiste senza la sua corrispondente rappresentazione visibile, senza la faccia esterna dell’involucro, e quindi senza la sua raffigurazione superficiale esteriore. Sono spazi del tutto privi di immagine percepibile all'esterno, capaci tuttavia di realizzare e definire luoghi significanti fruibili e quindi spazi in grado di raccontare i propri contenuti, pertanto da considerare, senza dubbio, “architettura”.
È questo il caso dell’architettura ipogea o anche, per estensione, dell’architettura totalmente introversa, il cui l'esterno, cioè, intende rinunciare a qualsiasi tentativo di rappresentare i sensi dell’interno e si palesa solo come volume indifferenziato, a volte, volutamente inespressivo.
Tale architettura in realtà tende ad esaltare i valori dell’internità, i valori della funzione, diviene cioè espressione e immagine diretta del significato e, senza medium, forma primaria ed essenziale dei principi insediativi e dei valori dell’abitare.
L’interno infatti, in architettura, non è solo un “luogo”, non è un ambito chiuso e limitato, geograficamente posizionato, è piuttosto un’estensione dell’essere, la materializzazione dei principi di difesa e intimità, l'affermazione dell'istinto primario di conservazione e protezione dell'uomo. L’interno oltre che percepibile sensorialmente è un luogo culturalmente riconoscibile e identificabile, frutto della capacità di astrazione e trasformazione dell’essere umano che è in grado di riproporre ciò che egli conosce e domina della “natura” esterna, è in un certo senso la sublimazione della sua coscienza, raccontata e disvelata agli altri.
Uno spazio costruito può definirsi quindi “interno architettonico” non solo perché effettivamente chiuso o perimetrato, custodito o appartato, bensì in quanto portatore di quei significati capaci di ispirare, in colui che lo abita, i sensi di riparo, privatizzazione e protezione. Oltre il concetto di “internità”, termine che evidentemente definisce semplicemente la fisicità di un luogo, si può pertanto introdurre il principio di “interiorità” che, oltre a sottendere tutto quanto è pertinente all’interno di un ambito spazialmente circoscritto, si riferisce soprattutto a ciò che lo individua idealmente, con diretto riferimento allo spirito e alla conoscenza del singolo individuo, alla sua memoria, alla sua cultura.
Rispetto a tale estensione, dal principio di “interno” a quello di “interiore”, esempi emblematici di interiorità priva di una diretta immagine esteriore visibile, e quindi, in un certo senso, di architettura invisibile ma perfettamente fruibile e dotata di un senso compiuto, sono quelli definiti comunemente di “architettura nell’architettura”, di “interno nell'interno”.
Lavorare solo sull’interno, o prevalentemente su questo, significa infatti dividere lo spazio dalla realtà fisica della struttura muraria e assumerlo, in definitiva, come un vuoto, non più uno “spazio” con un senso oltre che una morfologia, bensì come una materia amorfa da plasmare e da caratterizzare. Il vuoto, in questo caso, “incidentalmente” racchiuso in un contenitore che una volta gli apparteneva, accetta i nuovi dati funzionali, le nuove norme e gli stili di vita e di utilizzo, lentamente accoglie le richieste imposte dal ritmo della vita odierna e assume valori capaci di dialogare con il presente. Ridiviene, grazie alle azioni di recupero e riuso, “spazio”, luogo cioè dotato di forma, misura e senso, caratterizzato nei suoi tratti estetici e comunicativi, e si evolve in “spazio assoluto”, forma diretta dell’interiorità più che dell’internità, in quanto presenza ed essenza concettualmente priva di involucro, o che, per essere precisi, ha assunto la preesistenza esclusivamente come vincolo, come confine.
Rispetto quindi ad una certa architettura contemporanea che disattende la costruzione organica ed omogenea tra interno ed esterno e si mostra del tutto autoreferenziale, forma plastica, immagine esclusiva della propria esteriorità senza alcun riferimento ai propri contenuti, rappresentazione di un messaggio scisso dai principi interiori o che, in alcuni casi, addirittura rinuncia ai valori dell’interno relegandoli a soli bisogni primari da soddisfare, possiamo guardare con rispetto e attenzione all’architettura senza esterno, all’architettura introversa, in quanto momento di radicalizzazione e di esaltazione dei principi stessi dell’abitare, delle ragioni per cui l’uomo, in definitiva, “fa architettura”.
Tale architettura “invisibile” esalta le ragioni della vita dell’uomo e delle sue aspettative, consolida le modalità della partecipazione diretta, attiva, del fruitore annullando gli aspetti della mera rappresentazione e quindi della contemplazione estetica degli aspetti plastici e formali. Rispetto agli eccessi e alle ridondanze della messa in scena pubblica, l'architettura introversa tende a comunicare direttamente e senza medium l’essenza degli spazi e le motivazioni per cui l’uomo continua a imprimere nella materia la forma del proprio corpo, la propria misura, il segno del suo sapersi muovere e spostare nel proprio ambiente, in conclusione di saper trasmettere il racconto espressivo del proprio “essere nel mondo”.